Sollecitati in merito, ci troviamo costretti ad affrontare, per quanto è nelle nostre capacità, un argomento spinoso non per sé, ma per il suo impiego scervellato in tempi nei quali «tutti possono fare tutto», il che è un modo come un altro per dire che, oggi, nessuno può far [bene] nulla, il solo fattibile essendo quanto è conforme alle proprie caratteristiche innate, caratteristiche abolite ope legis con diaboliche astuzie che vanno dal «nihil in mente quod prius non fuerit in sensu» alle «pari opportunità».
Questo argomento è l’esoterismo, ovvero una conoscenza (sapienza o gnosi che dir si voglia) d’ordine superiore, perché intellettuale, a quella razionale.
Tradizionalmente l’intelletto (il dantesco «intelletto d’Amore») è facoltà connessa al cuore, anziché al cervello, al sole, anziché alla luna, all’intuizione muta e folgorante, anziché al ragionamento discorsivamente progressivo, all’unificazione tra conoscente e conosciuto (tat twam asi, that thou are), anziché alla distinzione tra soggetto ed oggetto e, per tornare a Dante, all’Amore: "si ama solo ciò che si conosce e si conosce solo ciò che si ama", ovvero "si è solo ciò che si conosce e si conosce solo ciò che si è", vale a dire che "si è/ama/conosce solo cio che si è/ama/conosce".
Ciò premesso, va da sé che la cognizione razionale di una verità esoterica non ne comporta affatto la conoscenza intellettuale, conoscenza che implica una trasformazione radicale del conoscente (unificandolo in «conoscente-conoscenza-conosciuto», come ad esempio nel Sat-Chit-Ananda indù). Per restare nel concreto della stragrande maggioranza, se non della quasi totalità (alla quale ovviamente appartiene anche chi scrive) di noi moderni, l’aver contezza degli stati multipli dell’essere, magari perché si è letto l’omonimo saggio di R. Guénon, non significa minimamente aver preso effettivo possesso di tali stati. Di più, si potrebbe addirittura dire che l’apprendimento di tale nozione celi più pericoli che beneficî, nel suo sostituire vaghe congetture all’obsoleta, ma efficace, favola del diavoletto e dell’angioletto.
Qui ne parliamo solo per puntualizzare la consapevolezza della compresenza di diversi livelli di realtà, livelli tradizionalmente esemplificati nell’immagine di una scacchiera che, ad un tempo, è quadrato di una scacchiera più grande (e così via, a telescopio) ed ogni quadrato della quale è a sua volta una scacchiera più piccola (e così via, a microscopio).

  Quello della scacchiera, simbolo sacro interpretabile tridimensionalmente e no, è particolarmente pregnante, perché sottintende che qualsiasi opposizione, a qualsiasi livello di realtà, si risolve e si unifica nel livello superiore, ma si divide ulteriormente nel livello inferiore. È l’ennesima sfaccettatura di quel diamante cristallizzato nella piramide, al cui vertice è l’unità dello spirito ed alla cui base è l’indefinitamente divisibile molteplicità della materia.
Un’applicazione pratica del simbolo della piramide, al nostro attuale livello di realtà, svela la fallacia di qualsivoglia unione nel segno del materialismo: Stati Uniti, Nazioni Unite, Regno Unito ed Unione Europea, in quest’ottica, non sono che sataniche serpentine verbali.
Quanto s’è detto circa i diversi livelli di realtà, lo si è detto per un motivo ben preciso, ossia per deplorare le «intemperanze» di chi li confonde, sovrapponendo piani di lettura tra loro incompatibili. È un po’ come se, in una conversazione tenuta negli anni felici in cui la visione geocentrica era condivisa da tutti, qualche esoterista da strapazzo (e probabilmente Aristarco di Samo era uno di questi) avesse affermato l’immobile centralità del sole, verità esoterica plurimillenaria,* ma di nulla utilità pratica. Anzi, suscettibile di generare un’infinità di guaî, come sia la Chiesa che l’Islam sapevano benissimo (da Galileo, per tacere di Giordano Bruno, ad al-Hallaji).


* Altrettanto può dirsi del pitagorico Filolao e della sua teoria pirocentrica, nonché di Ipparco, la cui «scoperta» della precessione equinoziale fu in realtà la divulgazione di un segreto esoterico, utilizzato da sempre per la cronologia sacra. Concludiamo con due parole su R. Guénon, la presenza del quale, in un blog cattolico come questo, ha destato qualche perplessità. Bene, per quanto ciò possa sorprendere, chi scrive deve proprio a Guénon il suo ritorno nell’ovile di Santa Romana Madre Chiesa; ciò perché, allontanatosene in anni di rifiuto di quella che gli sembrava prosaica e stucchevole exotericità, grazie a Guénon vi ha ritrovato pura ed inalterata quella Sapienza primordiale che san Pietro (nella Seconda lettera, III, 16), con la consueta umiltà, confessa di conoscere meno bene di san Paolo. Infine, ricordiamo che Guénon non è mai stato «messo all’Indice» dalla Chiesa.