Traduciamo alla bell'e meglio - dal sito Contemplatio - qualche passo di un'intervista a Marie-Madeleine Davy (1903-1998).
«Era d'estate, in casa di mia nonna. Avevo cinque o sei anni e tanta paura della notte. Ogni tanto mia madre, al calar della sera, per farmi vincere la paura, mi dava un sassolino da portare all'estremo di un pioppeto che costeggiava un fiume. Dovevo andar lì a passo lento. Mi era proibito correre, perché avrei potuto inciampare nelle radici degli alberi. Ero terrorizzata dai rumori: lo strepitìo d'ali degli uccelli svegliati dalla mia presenza, i passi rapidi e felpati delle donnole che già avevano cominciato la caccia, i rami agitati dal vento. Una volta mi fermai ad ascoltare. Improvvisamente, ebbi la sensazione di amare ciò che temevo. Mi sembrò come se la notte avesse ceduto il posto ad una luce soave. Da allora, la dimensione notturna fu per me un'amica.
[...] L'uomo più straordinario che ho potuto conoscere è stato Nikolaj Berdjaev.* Geniale, portava in sé oriente ed occidente. Era un profeta, un visionario. Ortodosso, non era rinchiuso in nessuna forma: simpatizzava con cattolici e protestanti, né lo disturbava l'ateismo (che penso preferisse all'idolatria). In lui, niente di mondano; tutto risuonava in maniera giusta, quasi fosse di vetro. Non parlava dell'essenziale più che per allusioni. Si capiva che aveva piantato la sua tenda nell'indicibile, perché spesso la voce gli veniva da lontano, da una cima difficile da raggiungere. Poteva esser violento, in quegli istanti: sfoderava un sacco di tic e cominciava ad esprimersi in russo.

* [n.d.t.] Nel testo spagnolo, dal quale traduciamo, la grafia è «Nicolás Berdiaev». L'abbiamo modificata, in ossequio alla moda vigente, che non tollererebbe - a traslitterazione di Николай Бердяев - «Nicola Berdièf». Ma il bello dell'italiano non era che what you see is what you get? Era, purtroppo (nei giorni di Rasciomòn e di Achìra Curosàua).

[...] La ricerca del divino comincia nella dimensione orizzontale, ma un trasudo d'acqua, una volta scoperto, esige che si scavi per trovare la sorgente. Si passa così dall'orizzontalità alla verticalità. Durante la prima investigazione, uno può anche darsi agli incontri ed agli scambi di vedute. Dopo, la solitudine ed il silenzio diventano indispensabili, tutto il resto si rivela superfluo.
[...] Sono persuasa che ci sia impossibile provocare il risveglio altrui. L'altro non ci riguarda, perché è tra lui stesso ed il suo maestro interno che tutto succede e si sviluppa. Questo non vuol dire svalutare gli altri; è solo che non esiste un interruttore esterno. L'importante è accettare la diversità degli uomini, come la diversità dei fiori e dei canti degli uccelli.
[...] La mistica del secolo XII mi ha insegnato molto, soprattutto grazie al monachesimo certosino e cistercense. Il pensiero del secolo XII è essenzialmente cosmico: col suo senso delle festività, della liturgia scandita lungo le stazioni dell'arte e del mestiere, della vita quotidiana letta in chiave sia di marcia trionfale che di via crucis, l'uomo si muoveva naturalmente "in Dio".
[...] Che si tratti di oriente o di occidente, non siamo più nell'epoca dei maestri, ma in quella della scoperta del guru interno, della "Chiesa interiore". Lasciamo correre, senza giudicarli, coloro che sentono la necessità di agitarsi (e che a volte attraversano continenti) per trovare un maestro. S'impara sempre qualcosa, viaggiando. Gli spostamenti esterni possono trasformarsi in un invito a tentare il viaggio interno. Tuttavia, su questo tema, ho potuto constatare molti fallimenti: proiezioni mai risolte, sessualità distorte, stati ingannevoli, perversioni. Inoltre l'evoluzione della donna e la sua libertà sessuale hanno modificato il comportamento femminile ed è la femminilità, sia nel maschio che nella femmina, quella che attualmente prevale. Si può solo sperare che la donna interiore assuma il suo ruolo e che ritrovi la sua egemonia, in modo che i giovani si facciano carico di loro stessi. In tal modo il numero degli pseudo-maestri diminuirà. Fermo restando che il sincretismo è un miscuglio eterogeneo, un proverbio ripetuto nel medioevo mi sembra valido: "Non guardare a colui che parla; quel che è buono, affidalo alla tua memoria". Le discussioni filosofiche e teologiche sono cosa vana, perché l'importante è tendere verso l'unità. E non credo nell'efficacia dei paragoni: se mi convengono, posso usarli; se no, li abbandono. Come ha mostrato molto bene Eckhart, tutto quanto si dice di Dio è una filastrocca. Di qui, l'importanza del silenzio.
[...] Le Saux,* un grand'uomo. La sua originalità non è stata nel riconciliare, cosa ben difficile, una religione storica ed una religione cosmica, bensì nel seguire la via di un Dio personale: Yahve si è fatto segno in Gesù, personalizzando l'Impersonale advaita. In altri termini, Le Saux non ha voluto andar oltre la bhakti, la via devozionale, diretta ad un Dio personale, verso lo jñana, la via gnostica, dedita alla Cosa impersonale. La via dell'amore e quella della conoscenza sono gemelle. L'India ricorda ai cattolici ed ai riformati quanto essi sembrano aver dimenticato. Ma gli ortodossi hanno mantenuto la teologia negativa (il neti degli indù) e quello yoga che è il discorso del cuore (il japa); hanno inoltre un'ammirabile liturgia. Che cosa potrebbe apportare allora, l'oriente non battezzato, al cristianesimo orientale, soprattutto se si pensa che Cristo è qualcosa di più di un avatar?

* [n.d.t.] Henri Le Saux (1910-1973), "pionnier du dialogue interreligieux", è singolarissima figura di prete cattolico e di guru indù.

[...] L'ascesi consiste, secondo il mio parere, nel non cedere alla tristezza. Bisogna accettare la propria solitudine e viverla felicemente dall'interno, senza sperare che alle nostre finestre si affacci qualche essere umano. Le cime sono vuote. Neppure gli uccelli ci vivono».

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Prima di chiudere questo articoletto, di non poca importanza per chi scrive, con un rimando ad altri aspetti dello stesso tema, qui pratici ed operativi e qui più teorici (o speculativi), precisiamo che il riferimento di cui sopra ad Akira Kurosawa non è solo ortografico. Quando la Davy esorta a "non sperare che qualche essere umano si affacci alle nostre finestre", mettendoci così in guardia nei confronti dello scoramento che talvolta pervade chi pubblica invano qualcosa di suo,* può ben alludere sia al grande regista giapponese (che attraversò un brutto quarto d'ora, in circostanze simili) che al nostro già altrove citato Dino Campana, anch'egli vittima del medesimo sconforto.

* Con «invano» alludiamo all'assenza di riscontri sia pecuniarii che affettivi e, in quest'ultimo caso, sia positivi che negativi. Al riguardo ci viene in mente una celebre vignetta, raffigurante una giovane 'internauta' che - con un imperativo qui irriferibile - invoca l'altrui attenzione.