Quando si hanno troppi pensieri per la testa, per giunta non tutti piacevoli, una buona prassi è quella di metterli per iscritto. Già così te ne liberi, almeno in parte. Se poi si ha l'accortezza di elencarli a partita doppia, ovvero suddividendoli in entrate e uscite (o pro e contro), li si vedrà battersi l'uno contro l'altro, fino alla resa.
Chi scrive, per esempio, di quando in quando viene assalito dal proselitismo. Proselitismo altrui, s'intende, perché nulla mi è più estraneo dell'idea di convertire un mio simile.* E non parlo solo di quello religioso, ma anche di quello spicciolo, quotidiano ed ossessivo, di chi vorrebbe farti a) smettere di fumare, b) andare al mare, c) comprare una macchina nuova, d) sottoporre ad un'analisi ulteriore, e) accettare la versione ufficiale di un fatto di cronaca o di storia, f) subire un 'interventino', ecc. e - in una parola - g) imitarlo.
* Vivi e lascia vivere, cioè (neminem laedere, suum cuique tribuere e pertanto honeste vivere essendo gli imperativi fondamentali, suggellati e riassunti dal quarto, gratias Deo agere). Bisogna ringraziare Paolo Franceschetti, al riguardo, per averci ricordato - nell'articolo Sul concetto di guerra santa e sull'ISIS - il 48° versetto della quinta sura ("Ad ognuno di voi è stato assegnato un rito ed un percorso. Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità") ed il 62° della seconda ("In verità, siano essi giudei, nazareni o sabei, tutti coloro che credono in Dio e nell'Ultimo Giorno, e che compiono il bene, riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti").
Da un altro punto di vista, però, la solitudine autentica (ovvero il romitaggio) esige dei requisiti che chi scrive sa di non possedere. Ad esempio, la scelta di vita operata da persone quali quelle fotografate da Antoine Bruy, qua e là in Europa, benché meritevole di ogni onore, mi è impraticabile. E non tanto per età, trattandosi (vedi e vedi) di coetanei, quanto per paura. Vivere così? C'est pas possible, pour moi.



In tal modo, ciò che sembrava una soluzione diventa un problema: la rinuncia al conforto [ed allo sconforto] dei contatti umani è la rinuncia al comfort tout court. Forse la via migliore è la via di mezzo, almeno per un debole quale lo scrivente, quella a cui si riferisce Vittorio Messori in L'eremita metropolitano.
"Ciò che proprio non vogliono è far notizia. Ciò che cercano è il silenzio, la discrezione, il nascondimento: la loro porta resterà chiusa, se voleste bussarvi come giornalisti o anche soltanto come curiosi. Personalmente, ho il privilegio di conoscerne alcuni, qua e là per l'Europa, ma non avrei più alcun accesso alle loro nicchie se infrangessi la promessa di non dare nomi o indirizzi. Comunque, se proprio voleste rintracciarli, non cercateli in luoghi deserti ed inospiti: è più probabile che li troviate nei casermoni delle periferie urbane o nelle soffitte al centro delle metropoli. Parlo degli eremiti. Che sono tornati alla grande, che aumentano ogni anno, anche se pochi lo sanno: com' è ovvio, visto il loro impegno nel passare inosservati. Di loro, invece, sa la Chiesa, che ha deciso di rifargli posto nella sua struttura. In effetti, il Codice di diritto canonico del 1917 li ignorava. Non per ostilità, ma semplicemente perché sembravano far parte di una pagina cristiana lunga e gloriosa, ma ormai definitivamente conclusa.
[...] In realtà, il maggior numero di eremiti, oggi, è 'metropolitano': è la grande città il luogo vero della solitudine, dell'anonimato, del combattimento silenzioso contro i nuovi demoni. [...] E ora è apparsa la ricerca dei gesuiti americani, sul loro quadrimestrale per consacrati Review for Religious. Bisogna riconoscere che quei religiosi Usa hanno avuto un certo successo: hanno scelto un campione di 600 eremiti, in tutto il mondo, ottenendo 140 risposte. Una miseria per qualunque altra categoria sociale, ma un buon esito per l'anomala categoria degli eremiti. [...] Come rileva l' inchiesta (ma come già sapeva chi segua simili cose), questa è una scelta da fare in età adulta: la maggioranza dei solitari è tra i cinquanta e i sessanta anni, rarissimi sono quelli sotto i trenta. È ben noto un antico proverbio: «A giovane eremita, vecchio diavolo». Tutti i maestri di spirito hanno sempre insegnato che una simile vocazione contrassegna una élite di uomini e di donne particolarmente sperimentati. In effetti, non c'è, nell'eremo, il sostegno di una comunità fraterna; la solitudine e il silenzio costanti sono una gioia solo per chi vi sia davvero chiamato; non c'è neppure un abito, un saio, uno status sociale che in qualche modo sorreggano. Non solo: la doverosa povertà si fa spesso miseria, soprattutto per quelli che hanno trovato in città il loro 'deserto'. Poiché l'anacoreta cercherà di fuggire ogni 'dispersione' e, quindi, ogni lavoro in fabbrica o in ufficio, vivrà di piccole cose che può fare tra le sue quattro, modestissime mura. Ma questo non assicura quasi mai un reddito sufficiente per una vita che non scada dalla povertà nell'indigenza. Da qui, l'attesa di molti di avere un' età sufficiente per una pensioncina, per quanto minima, che permetta di coltivare in pace la propria vocazione. In genere, sono più fortunati, per la sopravvivenza quotidiana, coloro che hanno la loro casupola o baracca in campagna.
[...] Ma perché una simile scelta? Occorre dire, innanzitutto, che è una scelta (o, meglio, una vocazione, una chiamata) che ha trovato una nuova fioritura per reazione all'ebbrezza 'comunitaria', 'sociale' che ha travolto molti ambienti religiosi. L'eccesso di insistenza sull'impegno nel mondo e il tracimare delle parole scritte e parlate hanno portato molti, per contrasto, a riscoprire la forza della preghiera e la gioia del silenzio. L'eremita dà la sua vita per cose 'inutili' secondo il mondo e (purtroppo) secondo certo efficientismo cristiano attuale. La piccola, semplice regola che egli stesso si scrive - e che, volendo, sottopone all'approvazione del vescovo - prevede soprattutto ore di preghiera, di lettura spirituale, di meditazione. Prevede veglie, digiuni, penitenze, rinunce. Prevede lavori 'superflui', come la confezione di rosari [...] o la pittura di icone. C'è, nell'eremita, il rifiuto radicale della logica mondana, per la quale solo l'azione, la politica, l'impegno sociale, gli investimenti economici possono modificare in meglio il mondo. Quanto a lui, ha risposto a una chiamata che gli ha fatto capire sino in fondo che solo chi getta via la sua vita la salva; e che il modo più efficace di amare e di aiutare è seppellirsi nell'anonimato, nel silenzio, nella impotenza, credendo sino in fondo ai misteriosi legami della «comunione dei santi». È questo, credo, che voleva dire la scritta sul muro che vidi in una stanzetta d'anacoreta in una casa degradata nel cuore di Torino: «Chi va nel deserto non è un disertore»".