Uno degli ultimi esempi occidentali di politica corretta, ovvero ortodossa (cioè conforme alla Legge), risale a quella notte di Natale dell'800 in cui Leone III incorona Carlo Magno. Quasi esattamente mille anni dopo è Napoleone che si autoincorona, suggellando l'ormai consumata insubordinazione dello Stato nei confronti della Chiesa, insubordinazione i cui precedenti moderni vanno da Filippo IV ad Enrico VIII, lungo la nascita dei vari stati nazionali sorti dallo smembramento dell'Ecclesia medioevale.* Era questa l'Europa del latine loqui, un «nazionalismo cristiano-europeo» che risponde alla pura verità storica di diverse etnìe linguistiche collocate in diverse situazioni territoriali (dalla Scozia alla Romania e dalla Spagna alla Polonia), unificate da una classe colta esprimentesi nel latino evangelico. Parimenti, nel mondo islamico attuale (quello che gli analisti definiscono «nazionalismo arabo-musulmano», accomunante il magrebino all'iraniano), le classi colte nordafricane e mediorientali, come quelle sudafricane, del sudest asiatico e sia centro che nordamericane, dialogano tra loro nell'arabo coranico (ormai quasi incomprensibile ai più) o nel rudimentale inglese moderno. Sarà questa, l'Europa dello speakin' english?


* Si pensi che tuttora, in inglese, "impiegato statale" è clerk (dal latino clericus). E, a proposito di pubblica amministrazione, che, dopo aver laicizzato, oggi si vuole addirittura privatizzare (ovvero "privare" anche dell’ultimo barlume di disinteresse, quasi a sancirne il crollo), si può citare il superstite concetto di mission, concetto ormai incongruo, ma ancora necessario a giustificare l'operato di un'«azienda» ammontante (in Italia, tra ministeri, regioni, province e comuni) ad oltre tre milioni di dipendenti, che - come recitano gli addetti ai lavori - «eroga servizi proporzionali al bisogno, anziché al reddito» e che, mediante la tassazione, «fa pagare di più l'utente che meno usufruisce di tali servizi». D'altra parte, va pur detto che il crollo di qualcosa ne presuppone la crollabilità (o, meglio, la perdita dell'incrollabilità).

In termini tradizionali (platonici, ad esempio, quindi cristiani, ma con perfette corrispondenze cinesi ed indiane) l'autorità sacerdotale, solare, immobile (e muta, perché il silenzio è d'oro), rappresentando il Principio, conferisce potere al sovrano, lunare, mobile ed eloquente (perché la parola è d'argento). Il rapporto tra l'autorità sovratemporale ed il potere temporale è detto simbolicamente «coniugale», come simbolicamente coniugale è il rapporto tra sole e luna, oro ed argento, spirito ed anima, Prete e Regina.
Ci si riferisce al Prete (poi diventato, non a caso, Re) ed alla Regina della scacchiera, statico lui, attivissima lei, come il leone e la leonessa. Maschile insomma l'autorità, ma femminile il potere. Non si dimentichi che, come queen è da gwen (gyné, in greco), «donna» è da domina e che «donneare» o «donneggiare» significa (o almeno significava, prima che la femmina, spodestato il maschio, abdicasse a sua volta) "dominare".*
Chi, in tutto ciò, lamentasse un'indebita ingerenza ecclesiastica negli affari profani dovrebbe rammentare che a) l'ortodossia minima di ogni religione prevede l'indistinzione fra sacro e profano; b) il cristianesimo, esattamente come l'islamismo,** non è una faccenda privata eventualmente condivisibile, di quando in quando, in una chiesa e c) il passo evangelico sul dare a Cesare quel che è di Cesare, cioè una delle due facce d'una sola moneta, non è che divina ironia.


* Nel gioco delle carte, francesi o napoletane che siano, la donna è «regina» o «cavallo» (cioè "cavaliere"). Dell'argomento si è trattato, più o meno diffusamente, anche qui, qui e qui.
 

** Anche nell'ambito estremo-orientale, in luogo della pretesa separazione tra la sfera laica (o sociale) del confucianesimo e quella mistica del taoismo, si può più semplicemente parlare della classica distinzione tra l'exoterismo, paragonato alla polpa, e l'esoterismo, il nòcciolo cioè, di un solo frutto. Si tratta della stessa alternativa presente, nel mondo ellenico, tra i piccoli e i grandi misteri, i primi riservati al mestiere quotidiano (al ministerium latino dei collegia fabrorum o medioevale delle corporazioni artigiane) e, i secondi, all'eccezionalità dell'illuminazione o, se si preferisce non andar troppo per il sottile, del misticismo (termine che, in fondo, collega il mestiere al ministero in un mistero solo e la cui radice è la stessa del "mito", mythos in greco, ovvero "muto"). Quasi di sfuggita, si può osservare che, come il buddismo amalgama l'exo e l'esoterismo (magari delegando a quest'ultimo quella derivazione del taoismo che è il buddismo zen), così il cristianesimo, con mirabile duttilità, si rivolge indistintamente a tutti, dall'ignorante al sapiente (e non senza qualche ironica frecciata a quest'ultimo, al quale vengono celate le verità svelate all'umile).

Per tornare alla famiglia, cardine di ogni struttura sociale tradizionale, il concetto di «matrimonio» suggerisce l'implicazione per cui il divorzio metaforico tra Chiesa e Stato è il divorzio letterale sia tra marito e moglie che tra spirito ed anima. Ne consegue la scomparsa, almeno nel lessico, dello spirito (della Chiesa e del marito, degradato a «compagno» o addirittura a «partner»). Ne consegue la scomparsa, effettiva e non solo simbolica, dell'oro. In questa prospettiva si può esaminare la storia dell'insubordinazione, ovvero della ribellione, anche come storia della contraffazione, ad esempio della moneta sacra.
Così vediamo - come già detto altrove - Diocleziano sostituire il rame all'oro, Filippo «il bello» alterare la lega con metalli vili, i banchieri fiorentini inaugurare (con il cosiddetto «rinascimento») la lettera di cambio, i rivoluzionari francesi comminare la pena capitale a chi rifiuti la carta straccia dell'assignat e finalmente Nixon dichiarare l'inconvertibilità aurea del dollaro.
La storia della contraffazione è quindi la storia dell'usura (e perciò la storia del peccato). Non a caso i tentativi di tornare all'oro (valuta sacra, pertanto non svalutabile) sono opera di credenti quali Costantino, da opporre a Diocleziano, e De Gaulle, da opporre a Nixon. Tentativo fortunato il primo, che dura più di un millennio; meno fortunato il secondo, che dura appena qualche mese, dal febbraio al maggio di quel '68 di ben orchestrata euforia che, al posto di De Gaulle, elegge un [imparentato coi] Rothschild (al secolo, Pompidou).
Il tempo dell'usura - ancora come già detto - è l'usura del tempo, peraltro. E noi, vecchi in un mondo vecchio, ossessionati dall'idea di sembrare giovani, non possiamo che appoggiarci al bastone della vecchiaia della tecnologia (la terza gamba dell'indovinello della Sfinge). La storia dell'insubordinazione, sicché, può esser letta anche come storia del cosiddetto «progresso» della scienza, ovvero della meccanica o, meglio, dell'automazione. Ancor meglio, dell'autismo. Contraffazione, si diceva, perché tutto ciò che è diabolico presenta caratteristiche rovesciate, scimmiottate, pervertite [rispetto all'originale]. Così la democrazia, vale a dire il conferimento del potere dal basso, anziché dall'alto (dai molti, anziché dall'Uno), non è che un'inversione del rapporto normale, di un rapporto cioè "a norma di Legge".

Il prototipo della sovversione, infatti, è proprio lui, Lucifero, l'illuminista (come vuole il suo nome) ante litteram. Forse perciò la piccola età dell'oro occidentale è quella dei «secoli bui».
Quanto sopra, tuttavia, non è importante dal solo punto di vista politico. Il buon governo riguarda anche (e soprattutto) il singolo, il sedicente «in-dividuo» in realtà diviso tra spirito ed anima, marito e moglie o - per usare i termini della psicologia meno becera - genitore e bambino. La famiglia interiore rispecchia quella esteriore, per cui, se quest'ultima non è integra, anche quella si dis-integra. Il cancro, nella medicina tradizionale, non è altro che insubordinazione, disobbedienza [di un organo che, pensandosi autonomo, finisce col distruggere se stesso ed il corpo che lo ospita].
Quando il Regnum è sottomesso al Sacerdotium, tutti i vassalli sono sottomessi al monarca. Ma, se questi si ribella al suo superiore, non si può pretendere che i subalterni non si ribellino a loro volta. Così è per Dante e così è per Platone, che definiscono «sacra» la gerarchia (dal greco ieròs, "sacro" e arkè "principio"), sia quella interna che quella esterna, ognuna delle quali è specchio dell'altra.


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La storia dell'insubordinazione, infine, è la storia dell'indipendenza. È la storia dell'usurpazione del due, del principio «femminile», nei confronti dell'uno, ossia del principio «maschile». Non si tratta di differenze anatomiche, data la loro coesistenza anche nel singolo (maschio o femmina che sia), bensì simboliche, come quelle che tradizionalmente rendono ogni numero maschile in rapporto al numero che lo segue e femminile in rapporto a quello che lo precede (ferma restando la «femminilità» di qualsiasi numero in relazione all'Uno, la «femminilità» cioè di ogni creatura, se rapportata al Creatore). Così, ad esempio, come suggeriscono il Lunus latino e il Mond tedesco, la luna è femminile rispetto al sole, ma maschile rispetto alla terra. Analogamente, come nell'ambito familiare il figlio (maschio o femmina che sia) è virtualmente femminile rispetto ai genitori così, nell'ambito professionale, il subalterno (anche se di sesso maschile e magari non più giovanissimo) è in qualche modo «femminile» verso la giovane donna che gli è superiore in grado.
La storia dell'insubordinazione, insomma, è la storia di una rivoluzione la cui valenza simbolica non è priva di risvolti drammaticamente concreti. La sovversione, ad ogni livello, consiste nel rovesciamento dei rapporti, per cui il servo diventa padrone e viceversa. Ma il servo (che, come ogni azienda che si rispetti, offre «servizi») alla fine ha anche lui il suo benservito. In altre parole il servo, non potendo che scimmiottare il padrone, finisce col farsi padroneggiare da una scimmia. Alla stessa stregua, esemplificando un po' alla rinfusa, a) lo Stato nazionale (particolare) soppianta la Chiesa ecumenica (universale) e viene rimpiazzato da quella parodia della Chiesa universale che è la Banca internazionale, b) l'anima si svincola dallo spirito e si lascia asservire dal corpo, c) l'uomo evade dalla chiesa e si interna in un network di farmaci e di terapeuti, d) la moglie si affranca dal marito e viene schiavizzata dalla figlia ed e) la ragione, facoltà corrispondente all'anima, il cui dominio non va al di là delle apparenze misurabili e quantificabili,* si rivolta contro l'intelletto (facoltà corrispondente allo spirito, la cui sfera è propriamente il non quantificabile, ossia l'incommensurabile) e viene a sua volta rovesciata dall'irrazionalità, vuoi della sensazione, vuoi del sentimento. Impero dei sensi, regno della sensibilità o repubblica del sentimentalismo che la si voglia chiamare, i fautori della democrazia spesso tacciono sulla democraticissima elezione di - per non far nomi più recenti - un Hitler.

* Si noterà l'uso del termine «dominio», circa la ragione, termine la cui femminilità è stata già fatta rilevare. In proposito, può non esser inutile rammentare la parentela, in latino, tra mensura ("misura"), mens ("mente"), mensis ("mese") e menstruus ("mensile") e l'affinità, sia in greco che in italiano, tra mèter ("madre") e mètron ("misura", "metro"). Quantificazione del tempo, secondo il calendario lunare, la prima e, dello spazio, la seconda. A scanso di equivoci, è bene precisare che l'attribuzione della quantità all'archetipo femminile (lunare e materno) e della qualità a quello maschile (solare e paterno) non comporta privilegi esclusivi, ma solo doveri reciproci, in un'altalena che funziona solo se a) ognuno dei due sta al suo posto e b) ognuno dei due, a turno, si eclissa affinché l'altro possa brillare.

Insubordinazione dopo insubordinazione, concludendo, se si è liberi di, anziché da [questo bambino viziato che ci portiamo dentro], Darwin aveva ragione. Siamo diventati la scimmia di Dio. E il guaio è che saremo giudicati come umani, non come umanoidi. Per giunta, liberi di [fare ciò che più ci piace] non lo siamo affatto. Anche lo psicologo più sprovveduto sa bene che la «sfortuna», da noi generalmente addebitata a un destino cinico e baro, spesso è autopunizione (in gergo, «coazione a ripetere»).* È colpa nostra, perciò. Eppure non è colpa nostra, se è vero che mala tempora currunt. Eppure, ancora, se corriamo anche noi [al passo coi tempi], è davvero colpa nostra.

* Diciamo «spesso» perché lo pensiamo laico (miscredente). Per il credente, se tale è davvero, la sfortuna è sempre autopunizione. Giobbe lo sapeva.