Si suol dire, di chi non ha alcuna intenzione di cedere il posto a qualche rappresentante la nuova generazione, che è «attaccato alla vita», ovvero a qualcosa a) che prima o poi dovrà lasciare comunque e b) che sta a lui come l'abito del momento sta a un'indossatrice. Per contro, se c'è un segno inconfondibile di nobiltà, questo è lo scarso o nullo attaccamento sia alla vita che ai relativi accidenti. «Vivere? Lo facciano, per noi, i nostri domestici».*
A questo punto il lettore malizioso sospetterà che, avendo chi scrive fatta sua questa sentenza, tutta la precedente argomentazione mirasse ad attribuire allo scribacchino medesimo una patente di nobiltà. Non è così. Quest'ultimo, rifilato in tenera età alla misericordia divina ed all'uopo esposito con un beneaugurante «Diotallevi», a denominazione d'origine controllata e garantita non ha che la bastardaggine.
Comunque sia, il tema della nobiltà è stato esaminato, con qualche divagazione storica, qui, qui, qui e (con cenni sulla cavalleria) qui. Nonché qui. Con qualche 'pennellata', qui e qui.


* Queste parole risalgono ad un esponente la nobiltà autentica (quella che identifica l’onere dell’onore con l’onore dell’onere), Philippe de Villiers de L’Isle-Adam. Su questo Grand maître de l’Ordre des Hospitaliers de Saint-Jean de Jérusalem citiamo solo il bel gesto tributatogli da Solimano «il magnifico», che, sospese le ostilità, si recò personalmente presso il campo crociato e, reso omaggio al defunto, disse ai suoi: "Credenti, imparate da un infedele a compiere il vostro dovere fino ad essere ammirati e lodati dai vostri stessi nemici". Detto per inciso, il motto in questione campeggia in epigrafe alla bella poesia sottostante, di E. Montale.
“È il tema che mi fu dato | quando mi presentai all’esame | per l’ammissione alla vita. | Folla di prenativi, i candidati, | molti per loro fortuna i rimandati. | Scrissi su un foglio d’aria senza penna | e pennino, ‘ché il pensiero non c’era ancora. | Mi fossi ricordato che Epittèto in catene | era la libertà assoluta l’avrei detto, | se avessi immaginato che la rinunzia | è il fatto più nobile dell’uomo | l’avrei scritto, ma il foglio restò bianco. [...] Si udì, dopo un silenzio, un parlottio tra i giudici. | Poi uno di essi mi consegnò l’accessit | e disse: ‘Non ti invidio’”.