La radice MR suggerisce un'affinità tra il vedere e lo speculare, intendendo quest'ultimo sia come verbo che come aggettivo (speculare = riflettere e speculare = riflesso, se non rifratto).
Non si può infatti non "mirare" (miru, inopinatamente in giapponese), tra meraviglia e ammirazione, la mirabile contiguità tra - per esempio - il mirror inglese, il miroir francese, il mar'a ebraico e lo yamreya (o mir’azin) arabo, lo specchio impersonando l'unico miracolo degno di questo nome: il rovesciamento degli ultimi nei primi, ovvero il ribaltamento di ciò che è in basso in ciò che è in alto.
Ma, affinché la destra non sappia quanto fa la sinistra, questo miracolo noi non illuminati lo vedremo solo post mortem.* E sarà un bel vedere, tale da far dire ad ognuno di noi che “sorrido [di meraviglia]" (mirào, o meidào, in greco), col "sorriso" (smile, in inglese e smayah, in sanscrito) di chi vede al di là di maya ("acqua", in siriano; e così mayim, in ebraico). Specchio d'acqua o velo di Maya, insomma, «videmus nunc per speculum et in aenigmate», come nell'apologo platonico della caverna, ma poi - teste san Paolo - Lo vedremo «facie ad faciem». E sarà un bel vedere scoprire l'altro (idam, in sanscrito) come l'idem, affinché amar te stesso sia null'altro che amare il tuo prossimo [come te stesso].


* Post mortem, perché la radice MR si pone anche alla base del tronco da cui germogliano - di nuovo per esempio - il latino mori (che fa di noi i mortali per definizione, mortels en français, mortals in english, mortales in ispagnuolo) ed il sanscrito maru ("montagna", "cima rocciosa", ivi compreso il sacro Meru indù). Ed è eziandio alla base del virgulto formato dal triconsonantico MTR ("morte", è vero, ma non pertanto "mater"). Tuttavia tra “madre” e “mare” (mère e mer, in francese), laddove il mare è visto soprattutto come vasta, devastata e devastante distesa, quindi nello stesso senso del maru sanscrito (che sta anche per “deserto”, oltre che, appunto, per “mare”), un nesso deve pur esserci. Sed de hoc altrove.

Infine, last but not least, la stessa vergine Maria, mirante il suo popolo, trae il suo nome da questo miraggio che, in un mondo sublunare quale il nostro, tramite lo specchio della luna, ci permette di rimirare il Paradiso.
Anche san Tommaso la pensa così, quando spiega il saluto angelico in termini di M (acqua) ed R (luce [degli occhi]). A mo' di conclusione, aggiungiamo che la luminosa e dorata lettera R è presente sia nell'oro (aurum) che nell'aurora (zaria in russo, non senza legami - ad onta di czar/cesar - con lo zar) ed in oriente (aur in ebraico). Lettera dorata, dunque, la R, solare ("sole" è rhê in copto e re in cinese) e regale, che si fa lunare e perciò argentata ove riflessa, sive speculata.



Su un tema così sconfinato - donde il de Maria numquam satis di Duns Scoto - abbiamo sconfinato non poco anche noi, nella nostra miseria, ad esempio qui, qui, qui e qui.