Una considerazione non scevra da conseguenze di un certo peso riguarda i bracci della croce, perpendicolari tra loro ed inversamente proporzionali l'uno all'altro. Abbiamo già visto, qua e là, come la croce simboleggi l'intera esistenza fisica, rappresentando - tra gli altri innumerevoli significati - a) le quattro direzioni di uno spazio piano, ovvero sia nord-sud ed est-ovest che alto-basso e destra-sinistra e b) il regno animale, comprendente anche parte dello stato umano, indicato dall'asse orizzontale; il regno vegetale e quello minerale, cioè lo stato subumano, indicati dalla metà inferiore dell'asse verticale ed il regno non corporeo, sebbene ancora fisico, vale a dire lo stato sovrumano, indicato dalla metà superiore dell'asse verticale.*
Circa la proporzionalità reciprocamente inversa dei due assi, oggi mette conto parlare della cosiddetta «libertà», feticcio contemporaneo quant'altri mai, che dovrebbe insospettire già solo per il suo venir troppo spesso proclamato.
In effetti, rapportando la libertà all'immagine qui sotto, si vede subito che ce ne sono almeno due, di libertà: una orizzontale, terrena, corporale e parzialmente psichica ed una verticale, paradisiaca o infernale, per quasi tutti noi psichica e, per ben pochi, spirituale. Quest'ultima, ovviamente, solo verso l'alto.




Orbene, possiamo adesso dire sia che a) quanto maggiore è la libertà orizzontale tanto minore è quella verticale, sia - meglio - che b) quanto maggiore è la libertà orizzontale tanto minore è quella verticale verso l'alto e tanto maggiore quella verticale verso il basso. Se si osserva bene la croce qui sopra, in effetti il braccio orizzontale descrive una circonferenza che può esser vista contemporaneamente come vertice di un imbuto sottostante e come base di un imbuto, rovesciato, sovrastante.**
Questo doppio imbuto, non a caso, richiama sia la topografia dantesca dell'Inferno e del Paradiso, sia una trottola (oggetto sacro tradizionale, caro ai pitagorici) o un macinino come quello che il Belli ha immortalato nei versi de Er caffettiere fisolofo.*** Fuor di metafora, se alla classica inintercambiabilità (di ceto, di coniuge, di lavoro, di consuetudini, di residenza, di nazione, di fede, ecc.) si contrappone l'odierna mutevolezza, il cambiamento oggi tanto osannato non è che una palude di "sabbie mobili", come canta il buon Battiato. In particolare, per quanto ognuno possa trarre le proprie conclusioni, a noi piace evidenziare come la costrizione (fissità, stabilità, ecc.) corporale possa tradursi in libertà (fluidità, mobilità, ecc.) spirituale.

* Come ogni schema, anche questo, pur nella sua ricchezza esemplificatrice, semplifica un po' troppo le cose. Bisognerebbe infatti collocare buona parte (anzi, la parte essenziale, cioè quella invisibile) della creatura umana nella metà superiore dell'asse verticale e, al tempo stesso, far scivolare nella metà inferiore di quest'ultimo asse sia le creature incorporee «maligne» che una percentuale più o meno variabile dei componenti ciascuno di noi stessi. Sembra infatti abbastanza logico situare l'animale - incapace di libero arbitrio [?] - nella sola orizzontalità e, d'altro lato, permettere di andar su e giù a chi dispone di libertà di scelta. Va pure aggiunto che una partizione così rigida, oltre a mortificare sia il vegetale che il minerale, non rende giustizia alla mobilità corporale del nomade (cui può far da contraltare l'irrequietezza psichica dello stanziale). Tuttavia l'efficacia del simbolo, nei confronti dell'uomo e della sua [buona] volontà, resta intatta. A proposito di buona volontà, infine, potremmo meditare sulla scarsa o nulla libertà corporale imposta dalla costrizione su un letto (di casa o d'ospedale) o su un pagliericcio (di carcere o di convento).

** Eloquente, al riguardo, nel dipinto qui a destra, l'immaginifico H. Bosch.

*** "L’ommini de 'sto monno so' l'istesso | che chicchi de caffè ner macinino, | che uno prima, uno doppo e 'n antro appresso, | tutti quanti però 'nnamo a un destino. | Spesso mutâmo sito; e caccia spesso | er chicco grosso er chicco piccinino. | Ma ce 'ncarzâmo tutti 'n su l’ingresso | der ferro che ce sfragne in polverino".
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Un'ultima annotazione sulla croce presentata all'inizio di questo post riguarda i due semiassi verticali, lì raffigurati con le stesse dimensioni dei due semiassi orizzontali. Sarebbe più opportuno, stante l'assoluta impossibilità di equiparare gli uni agli altri, disegnarli diversamente, vuoi allungando il semiasse inferiore, vuoi cancellando [alla vista] il semiasse superiore. Nel primo caso, che è quello della croce esposta nel frontespizio (vedi) di questo sito, si pone in risalto la maggior frequenza di «cadute in basso», non foss'altro che per forza di gravità, nel nostro mondo.* Nel secondo, che è quello della croce a tau (a T, se non a Tao), si sottolinea l'invisibilità dei mondi sovrumani, tanto più potenti quanto più celati.** Ma si veda anche qui.

* Se la metafora del doppio imbuto, ovvero dei due coni giustapposti, suggerisce altre implicazioni, una di queste è paragonare la nostra esistenza terrena al Purgatorio. Chi la pensa così, oltre ai non pochi beneficii di questa prospettiva, ha la chance di trovare abbastanza comica la smania di vivere il più a lungo possibile.

** 'Cielo' è da
«celare» (cælum da cælare), come con un coperchio. E 'apocalisse' è dal greco apocalýptein ("scoperchiare").