Essendo il Creatore, o l'Uno, anteriore alla Creazione (ovvero l'Immanifesto anteriore alla Sua stessa manifestazione), sia questa che quella decorrono dal Due, cifra che in nuce contiene tutta la molteplicità dei numeri successivi.
In termini alfabetici e zodiacali, se l'alfa-Ariete è l'uno, il due è la beta bovina. Notiamo di sfuggita che iniziano con la seconda lettera testi sacri quali la Torà (Bereshith) e il Corano (Bismillah) e limitiamoci a definire curioso il constatare come la prima lettera dell'alfabeto greco sia rappresentata dall'ideogramma del Toro, ruotato di 90°, e come l'ultima, l'omega (ω), ruotata anch'essa di 90°, raffiguri - in υn corsivo ormai fuori moda - l'ultima lettera del nostro alfabeto (ʒ o ʓ). La stessa inclinazione distingue la ba araba (ب) dalla beth ebraica (ב). 

In arabo la ba è la «bacinella» - come vuole la sua forma - del seme divino,* quest'ultimo venendo rappresentato dalla verticalità dell'alif (o, meglio, dal punto inespresso di tale lettera che, pertanto, equivale esattamente alla nostra i,** con la quale - Par. XXVI, 134 - "s'appellava in terra il sommo Bene"). Inoltre tale punto, celato nell'alif, trova la sua manifestazione nella ba. In ebraico, nella seconda lettera (il cui significato è "casa"), questo punto può apparire o no: nel primo caso, la pronuncia è bet, nel secondo vet. Anche la Betlemme cristiana, casa e culla del divino, deve la sua denominazione a questa lettera. Incidentalmente, infine, si potrebbe lumeggiare qualche affinità tra la ba araba e l'anima mundi egizia (chiamata appunto ba).

* Circa la femminilità virtuale del due (e quindi della lettera che asseconda la prima), punto di partenza della Creazione, Figlio, Madre, Sposa, Amata/o, più che parlare ci sembra opportuno meditare.


** Minuscola, quando vi appare il punto. Ma Dante cita espressamente la I maiuscola (il che giustifica l'obsoleta, eppur esatta, grafia IHWH), lettera il cui segno è identico - con buona pace della pretesa «arbitrarietà dei grafemi» - a quello del primo dei numeri ordinali. A proposito di questi ultimi, ovvero delle cifre latine, merita attenzione la grafìa del due, che raddoppia esattamente la precedente: I - II. La cosa non è ininfluente, perché il 2 in cifra araba suggerisce una certa qual singolarità di tale numero, laddove esso è naturalmente da intendersi duplice. Tale duplicità a) riassume in sé ogni possibile coppia di complementari e di opposti, femmina e maschio non rappresentando che un assai parziale esempio (il che peraltro può fornire un utile spunto alla meditazione di cui alla precedente nota) e b) offre una valida dimostrazione dell'assioma tradizionale che vuole il tre necessaria - ed immediata - conseguenza del due (se l'I, restando comunque tale, crea il II, il risultato è III; detto altrimenti, donde il proverbiale «non c'è due senza tre», I + II = III). La numerazione in caratteri arabi può tuttavia permettere di scoprire l'identità implicita nei due componenti qualsiasi coppia di opposti e di complementari.

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Su quanto detto finora sembra non inutile aggiungere ciò che segue.

  • Opposizione e complementarietà vanno sempre di pari passo. Così, il caldo è opposto e complementare al freddo e l’umido è opposto e complementare al secco. S'usa dire, a sproposito, che «due forze uguali e contrarie si annullano», nel senso che si azzerano, laddove è evidente che, l'una potendo crescere e l'altra - parallelamente - diminuire, due forze uguali e contrarie stanno tra loro in equilibrio [instabile, come ogni equilibrio]. Meglio sarebbe dire che «due forze uguali e contrarie si adunano», cioè che "fanno uno". Dall'uno decorrono infatti le due serie dei numeri, tra loro opposte e complementari come le due forze in questione: 2 - 1/2 (0,50), 3 - 1/3 (0,33), 4 - 1/4 (0,25), 5 - 1/5 (0,20) e così via. La confusione tra zero ed uno può esser dovuta alla scala termica nostrana, detta «Celsius», che permette una numerazione inferiore allo zero, il che - data l’inesistenza di qualcosa minore (o inferiore) del nulla - rappresenta una vera assurdità. D'altronde, sui pretesi numeri «negativi» abbiamo già indugiato in un vecchio post.
  • Femminilità virtuale significa, in qualche modo, anche androginia. Si pensi al participio presente, che, almeno in italiano (ed in ogni caso nel lessico tradizionale), a differenza del participio passato, non specifica il genere: l’amante si specchia infatti indifferentemente nell’amato o nell’amata. Questa considerazione, tra l’altro, consente una lettura ternaria (o trinitaria) anche delle cifre arabe, le quali, come si diceva poc’anzi, rendono un’immagine visivamente singola della duplicità del due: l’Uno, infatti, cioè l’Amante, mediante l’Amore si specchia nel Due dell’Amato/a. Si tratta, come è palese, del classico Sat-Chit-Ananda indù (Conoscente, Conosciuto/a e Conoscenza), tradotto in arabo come el-Aql ("l’Intendimento"), el-Âqil ("l’Intenditore") ed el-Maqûl ("l’Inteso"), nel quale il due, anziché coesistere nel tre, viene simboleggiato dal rapporto (amore, conoscenza, ecc.) che intercorre tra l’uno ed il due.
  • Sull’inclinazione della grafia di alcune lettere, nel transito da una lingua all’altra, non azzardiamo ipotesi alternative all’unica ovvia, legata al progressivo spostamento dell’asse terrestre. Questo fenomeno è infatti alla base di numerose mutazioni comportamentali quali, ad esempio, il computo del tempo (ovvero la calendarizzazione: decorrente dal solstizio o dall’equinozio? e, in quest’ultimo caso, primaverile o - come nel caso della Torà, il cui incipit sta sia per "in principio", sia "in autunno" - autunnale?) e dello spazio (ovvero l’orientamento: sud, nord, zenit o - come suggerisce il nome - est?). A proposito di orientamento, e della beth ebraica, nella ghematria si afferma che quest’ultima lettera è aperta a nord e chiusa dagli altri tre lati; l’affermazione, poiché visivamente la beth appare aperta a sinistra, direzione che per noi corrisponde all’ovest, è comprensibile solo se si è orientati verso est, in perfetta coerenza etimologica.
  • Nei riguardi della destra e della sinistra, da invertire specularmente qualora si tratti dell’oggetto, anziché del soggetto, un’ulteriore osservazione va fatta sui numeri, la cui aggiunta a destra o a sinistra cambia non poco il risultato. Vogliamo dire, ad esempio in cifre romane, che l’I posto a sinistra [del soggetto] sottrae un’unità, talché IV sta per “cinque meno uno”; l’I posto a destra [del soggetto] aggiunge un’unità, talché VI sta per “cinque più uno”. Naturalmente, dal punto di vista dell’oggetto (in questo caso del V), il discorso va fatto al contrario. Altrettanto può dirsi per il sifr arabo, cioè per lo zero, la cui aggiunta a sinistra [del soggetto] non cambia le cose, mentre a destra le decuplica. Ora, tornando al II, l’aggiunta del nuovo numero I - o della nuova lettera I - si effettua a destra o a sinistra? Viene in mente, per prima risposta, l'adagio evangelico sugli ultimi (tali, se il soggetto osservante siamo noi) e sui primi (tali, se il soggetto osservante è il Soggetto). Come seconda risposta verrebbe da dire che, se l’aggiunta del secondo I si opera alla sinistra dell'I in procinto di diventare II, bene, significa I + I, cioè 2; se è a destra, significa I - I, cioè 0. Ad dexteram Patris, insomma. E, qualora si obiettasse che i romani non conoscevano lo zero (quasi ovunque espresso da una circonferenza o da un punto, simboli ai quali si rimanda qui), si può far presente che è difficile pensare priva di esoterismo una cultura che vantava sacerdoti-guerrieri - i salii - istituiti da un Numa (per il quale si veda anche qui) che è l'esatta metatesi di Manu. E che dire del numero III, sottratte le prime due cifre (III - II = I)? Non è che un'ipotesi, certo. D'altra parte, se se ne sapesse di più, non sarebbe esoterismo. Anche degli etruschi, ai quali si ricollegavano i salii, non è che se ne sappia molto.



Concludiamo con l'ultima considerazione sul tratto verticale che quasi universalmente simboleggia il primo numero e che, ripetuto, indica i successivi (fino al nove, nell'antica Grecia,* fino al tre e prima ancora fino al quattro, nell'antica Roma, e fino ai molti,** presso non pochi primitivi). Un tratto verticale, perciò, alludente sia all'unità divina che alla moltiplicazione-divisione (in questo caso, sinonimi) di Dio in ogni creatura, non sta bene che venga contato troppe volte, da noi umani. La contabilità celeste, scrupolosa com'è, basta e avanza.

* Ci riferiamo alla numerazione cosiddetta «attica», sostituita quindi dalla jonica (o alfabetica) nella quale, come già detto, l'alfa rappresentava l'uno, la beta il due e via di seguito. In quest'ultima figurava, come omicron, anche lo zero, detto oudèn ("nulla").

** Che dopo il tre o il quattro si abbia qualche difficoltà, nel proseguire l'enumerazione, lo provano un po' le indagini etnologiche (tra cui è nota quella sugli aranda, per i quali 1 è ninta, 2 è tara, 3 è tara ma ninta - ovvero 2 + 1 - e 4 è tara ma tara - ovvero 2 + 2 - che significa anche "molti") e un po' i seguenti indizii linguistici, tratti dalla bella pagina della Wikipedia dedicata ai Sistemi di numerazione: a) in latino solo i numeri da 1 a 4 hanno genere e declinazione, non quelli da 5 in poi; b) i romani chiamavano i figli dal primo al quarto con nomi proprii, ma dal quinto in poi si servivano degli ordinali Quintus, Sextus, Septimius, Octavius, ecc.; c) l'anno romano, principiante dall'equinozio, ovvero dal plenilunio, di marzo, esordiva con Martius (da Marte, pianeta e 
divinità - a cui gli stessi salii erano votati - reggente il segno marziale e marzolino dell'Ariete), seguito dal secondo, Aprilis, dal terzo, Maius e dal quarto Iunius, laddove dal quinto mese in poi troviamo Quintilis, Sextilis, September, October, November e l'ultimo, December (non valendo la pena di contare oltre dieci); d) in tante lingue «tre» o «quattro» (ter o quater) e «molti» sono quasi omofoni e sinonimi, perché, ad esempio, in francese «molto» è très e «al di là [del conteggio]» è tres (trans in latino e through in inglese, nonché oltre in italiano); in tedesco «quattro» è vier e «molti» vielein antico inglese, «quattro» è feower e «molti» fela; in ebraico, «quattro» è arba' e «molti» harbe; in yiddish, «quattro» è fir e «molti» fil. E la lista potrebbe continuare. Per giunta, chez nous c'è la sinistra assonanza fra «troppo» e «truppa», quasi ad insinuare il sospetto che la reiterazione indiscriminata del tratto verticale, a contarla tutta, finisca per svalutarlo, il tratto verticale medesimo. San Tommaso spiega, infatti, che una specie, più individui conta, meno vale ogni singolo individuo. E non a caso - postilla, svariando dalla manifestazione formale (sia sottile che crassa, sulla quale ci siamo soffermati anche qui) a quella informale - ogni angelo è specie a sé.




Tra numeri e lettere, riferimenti a quanto sopra si trovano qui, qui (sul tema dello zero) e qui.