Come abbiamo avuto modo di accennare altrove, a proposito dell'apeiron di Anassimandro, la dottrina affermante la primordialità del caos rispetto al cosmo (o del Non essere rispetto all'Essere) non è solo quella taoista del wu che precede lo yu.* Per Esiodo - segnala C. Mutti, al quale dobbiamo anche le note seguenti - "prima invero fu il Caos"; idem per Aristofane e, indirettamente, anche per Platone. Ma Ovidio non è da meno, nel suo far dire alla più vetusta divinità del pantheon latino, Giano-Hiano, che "me Chaos antiqui (nam sum res prisca) vocabant".


* Precede e segue, in un'alternanza definita sia come "i giorni e le notti" (kalpa e pralaya, in termini indù) che come "espirazione ed inspirazione" di Brahma. Ma nell'ambito di un singolo ciclo la priorità dell'assenza (caos, notte, vuoto, silenzio, nero, zero, ecc.), rispetto alla presenza (cosmo, giorno, pieno, parola, bianco, uno, ecc.), sembra indiscutibile. Una conferma, forse stravagante, di ciò la si trova nel linguaggio informatico, che designa il nero con il codice '#000000'.

"Alla medesima radice di cháos - continua C. Mutti - è riconducibile in sanscrito il sostantivo neutro kha, che riveste i seguenti significati: cavità, buco, caverna, organo di senso, cielo, spazio, spazialità interna e Brahma. Nel Rg Veda, ad esempio, il termine kha designa 'il buco del mozzo attraverso cui passa l'asse di una ruota'; secondo Ananda Coomaraswamy, 'il kha vedico in origine era l'apertura rappresentata dalla Porta del Sole e dalla Porta del Mondo'. Nelle Upanishad viene chiamato kha lo spazio etereo primordiale che si identifica col brahman. Ma il brahman non è soltanto il vuoto, esso è anche il pieno (pûrna). Infatti l'opposizione tra il vuoto e il pieno 'è solo apparente, in quanto nel «vuoto» di determinazioni e qualificazioni v'è infinita «pienezza» di possibilità. Il vuoto (shûnya) non è dunque un «nulla», né esprime un carattere negativo o di annichilimento'. È detto infatti shûnya anche il segno matematico indiano dello zero, che, identificato con l'etere (o spazio, akâsha), venne in origine concepito come simbolo del brahman e del nirvânam. Lo zero viene dunque designato sia con le parole corrispondenti a «vuoto» (kha, shûnya) sia con quella corrispondente a «pieno» (pûrna); e questo perché 'tutti i numeri sono virtualmente o potenzialmente presenti in ciò che è senza numero', secondo quanto osserva Coomaraswamy.
Lo zero matematico è pertanto segno di possibilità infinita, cosicché esso ci rinvia immediatamente a quello Zero metafisico di cui René Guénon scrive: 'Lo Zero metafisico, che è il Non-Essere, non è lo zero di quantità più di quanto l'Unità metafisica, che è l'Essere, non è l'unità aritmetica; quel che così è designato da questi termini non può esserlo che per trasposizione analogica, poiché, per il fatto che ci si pone nell'Universale, si è evidentemente al di là di ogni dominio speciale come quello della quantità'. Guénon sviluppa ulteriormente il concetto dell'analogia tra zero matematico e Zero metafisico, affermando che quest'ultimo è principio dell'Unità e che il Non-Essere è principio dell'Essere. 'Come il Non-Essere (o il non-manifestato) - egli scrive - comprende ed ingloba l'Essere, principio della manifestazione, così il silenzio comporta in sé il principio della parola; in altri termini, come l'Unità (l'Essere) non è altro che lo Zero metafisico (il Non-Essere) affermato, la parola non è altro che il silenzio espresso'".


oOo

Quanto vorremmo aggiungere, nel nostro piccolo, riguarda l'impossibilità di una opposizione tra il silenzio e la parola. Vogliamo dire che l'inespresso non è suscettibile di analisi [espressiva]; solo nell'ambito della parola può aver luogo un'opposizione quale, ad esempio, la buona e la cattiva. Altrettanto può dirsi di altre metafore dello Zero e dell'Uno,* come il buio e la luce (solo quest'ultima potendo apparire calda o fredda, riposante o accecante, ecc.) o il vuoto ed il pieno. L'inesprimibile - e pertanto inespresso - Zero, insomma, pur essendo tutt'uno con l'Uno, non Gli è in alcun modo rapportabile, relazionabile o paragonabile.

* A loro volta metafora del Nulla e del Tutto, del Non essere e dell'Essere, oltre che del Caos e del Cosmo. A quest'ultimo riguardo va detto che, se il Cosmo è veramente l'Ordine, l'indistinto ed indifferenziato Caos non è semplicemente il Disordine, perché in tal caso l'opposizione fisica (o naturale) tra ordine e disordine assurgerebbe a livello metafisico. A livello umano o più generalmente fisico, invece, l'analogia sembra accettabile: se l'ordine rispecchia l'Ordine, il caos (sovversione o progresso che lo si voglia chiamare) prepara l'avvento del Caos. Il disordine particolare, in definitiva, concorre all'Ordine universale.
Ne riparliamo qui.