Più della gnosi, a noi cristiani - si dice, ad onta di quanto si può leggere qui e qui - pertiene l’agnosi, cioè l’affezione al simbolo indefinitamente meditabile dell’agnus Dei. Nella sua accezione clinica, l’agnosi (o agnite) corrisponde alla sindrome cosiddetta del «lupo travestito da agnello» e si manifesta in una malcelata diffidenza verso chiunque troppo lestamente si professi debole, indifeso e represso, ovvero senza por tempo in mezzo lamenti conculcati i proprii diritti, soffocata la propria libertà di espressione e perfino minacciata la propria stessa sopravvivenza.
Per non confondere l’agnosi con la paranoia, ai sintomi della quale la nostra affezione non è del tutto aliena, sarà sufficiente esaminare la posizione del presunto lupo: la regola aurea essendo «superior stat lupus, inferior agnus», si può esser certi che, ogni qualvolta il belato si ripeta con eccessiva insistenza su carta o su schermo, via cavo o via satellite, in presenza o addirittura in assenza dell’emittente in carne ed ossa, tale belato sia in realtà un ululato.
D’altronde, ciò vale anche per l’ambito individuale, perché la «voce di dentro» più querula e più martellante non è certo quella dell'angelo.
Visto che, scherzando solo in parte, s'è definito «a-gnosi» il misticismo (il che non fa del mistico un agnostico), può mostrarsi di qualche interesse la lettura del P. Nutrizio trascritto qui; inoltre, di quanto s'è annotato su gnosi e contro-gnosi (o gnosi spuria, se non disgnosi) qui, sulla Massoneria qui e - infine - su taluni massoni d'oggi qui e di ieri qui.
Dulcis in fundo, san Paolo (qui).