Nella buona, vecchia Enciclopedia Treccani, la gnosi è definita forma "religiosa, spesso raggiunta per mezzo di procedimenti misterici, che sottolinea (a discapito della fede e delle opere) l'elemento conoscitivo nella ricerca di Dio".* In quanto tale, rappresenta un "processo di illuminazione interiore riservato a pochi iniziati". Aspetti gnostici "si trovano in molte religioni (induismo, buddismo, talune tradizioni ebraiche e islamiche) e in alcune correnti vicine o interne al cristianesimo primitivo (fino al 3° sec.)".

* Il passo citato in realtà esordisce col definire la gnosi "forma di conoscenza". L'abbiamo amputato, perché gnosi etimologicamente è "conoscenza" e basta. Conoscenza di ciò che mette conto d'esser conosciuto, s'intende, cioè del divino. Circa il privilegiamento di questa rispetto alla fede ed alle opere (che effettivamente rappresenta la piaga non della gnosi, ma di parecchi gnostici), si potrebbe far presente che la contemplazione viene tradizionalmente privilegiata, rispetto all'azione.

Fin qui, la gnosi sembra normale appannaggio della prima casta. Normale, ovvero "a norma di Legge", ma non esclusivo, perché a) in ogni religione fenomeni quali il monachesimo possono prevedere sia la solitudine del romitaggio che la laboriosità sociale, b) anche il componente caste 'operative' è suscettibile di una gnosi connessa, in misura più o meno ampia, alla propria attività, ed infine c) l'incompatibilità tra contemplazione e azione non sempre è assoluta, potendosi anche 'contemplare' - in senso etimologico - il frutto del proprio lavoro. Appannaggio della prima casta, dicevamo, quindi di qualsiasi religione. Religione rivelata, ovviamente.
Tuttavia, quel che di solito si intende per gnosi (e che in tal caso è più opportuno chiamare «gnosticismo», il suffisso ismo contrassegnando qualsiasi corrente religiosa, filosofica, artistica, politica, ecc.) è caratterizzato dalla nozione seguente. «Se il Dio da cui deriva l'anima dell'uomo è un Dio buono e luminoso - chiarisce E. Albrile, in Alle origini dello gnosticismo - non può certamente avere a che fare con un mondo colmo di orrori e di angosce. Il nostro universo è l'universo della scissione in cui nulla è 'reale'; tutto è creato affinché l'uomo soffra in balìa di potenze a lui oscure. Il cosmo è quindi creato - secondo gli gnostici - da un creatore inferiore, un Demiurgo maldestro e ignorante. Gli gnostici, in trattati esoterici quali l'Apokryphon Johannis (nel medioevo conosciuto dai catari come Liber secretus), descrivono le nefande imprese demiurgiche di questo creatore inferiore da loro chiamato Yaldabaoth, cioè "Padre del chaos". Padre del chaos poiché generatore della struttura cosmica». Ciò premesso, appare più che evidente l'inammissibilità, non solo da parte del cristianesimo, ma da parte di ogni religione che ortodossamente consideri il creato quale opera del Creatore (o quale manifestazione dell'Immanifesto), di questa contrapposizione 'manichea' tra Dio e Demiurgo.* Inoltre, poiché - continua E. Albrile - «vi erano [...] gnostici che per risvegliare l'elemento divino presente nell'uomo sopprimevano totalmente l'involucro carnale, dandosi ad una ascesi assoluta, ed altri [che] invece esaltavano l'elemento corporeo e sessuale, predicando l'assoluta incontinenza»,** pensando a questi ultimi non è difficile capire l'acrimonia di sant'Ireneo, Tertulliano e san Giustino verso lo gnosticismo. Per giunta, ad ulteriore conferma della satanicità imputata anche a persone integerrime come Marcione, la cosmologia gnostica annoverava una pletora di divinità intermedie, sia tra l'uomo e il Demiurgo che tra l'uomo e Dio: pianeti e relative sfere, arconti, dynameis, spiriti malvagii e no, insomma tutto l'armamentario misteriosofico, occultistico, orfico, divinatorio, magico, ermetico, cabalistico, astrologico e, chi più ne ha, più ne metta.

* Vale a dire, tra pleroma, mondo superiore spirituale, eterno e perfetto, e kenoma, mondo inferiore materiale, effimero ed imperfetto. Vale a dire, ancora, tra luce e tenebre. E vale a dire, infine, tra Bene e Male. Posta in questi termini, la questione non appare del tutto estranea all'animo religioso. Il guaio è che così si finisce col contrapporre Dio e Satana, facendo di questa alternativa uno scontro tra eguali, il che è ovviamente assurdo. L'unica scappatoia del credente è quella platonica, per cui non esiste il contrario di un'Idea, ma solo una carenza. Non esiste il Male, insomma. Quel che esiste è il male relativo, inteso come carenza di Bene. Al riguardo, andrebbe precisato come bene e male esistano e coesistano solo in rapporto al singolo, in un mors tua = vita mea che fa del male altrui il bene proprio. Ad un livello superiore, uranico od iperuranico che si preferisca, è solo il sommo Bene. Detto in termini tradizionali, l'Ordine è la somma dei disordini locali.

** Tra le numerose sette cui appartenevano costoro spicca quella dei carpocraziani, presso i quali si soleva dire che "tramite il piacere si combatte il piacere". «È probabile che dietro a tutta questa rituaria - aggiunge E. Albrile - si nascondesse una tecnica di magia sexualis implicante una ascesa e un attraversamento delle sfere archontiche, così come adombrato ad esempio nel Diagramma degli Ofiti, un testo riportato dal pagano Celso nella polemica contro Origene». Ancora circa i carpocraziani, dal momento che la figura di Carpocrate sembra leggendaria, forse non è privo di interesse ricordare che «carpocrazia» vale "dominio del frutto". Per quanto riguarda il pelago delle sette, lì dette «correnti», si rinvia all'assai ben fatta pagina della Wikipedia sullo gnosticismo (pagina il cui incipit si chiude come segue: "Per quanto insoddisfacente possa sembrare questa definizione, l'oscurità, la molteplicità e la confusione dei sistemi gnostici permettono difficilmente di formularne un'altra").

Giunti a questo punto, avendo distinto gnosi da gnosticismo, non sappiamo se ascrivere l'aggettivo «gnostico» a questo o a quella. Al riguardo, c'è chi ha proposto di definire lo gnosticismo come «falsa gnosi» - e se n'è già accennato qualcosa, in un altro post - o «gnosi spuria» e, su quest'ultima definizione, merita attenzione quanto segue, tratto dall'omonimo saggio di don Ennio Innocenti. "Nell’interpretare la realtà, due sono i giudizi sull’essere: l’essere o è [...] interpretato come partecipazione oppure è interpretato come caduta. Sia nel primo che nel secondo giudizio le conseguenze sono [...] tali da influenzare tutto il vivere umano. L’essere è partecipato da una fonte sapiente, libera ed amante: l’infinito Iddio. Egli, pienezza di coscienza, bontà e bellezza, partecipa il Suo essere amando gli esseri che crea, ordinandoli in una collaborazione che rispecchia la Sua perfezione, cui tutti - e l’uomo consapevolmente e liberamente - tendono. L’essere, invece, cade, primordialmente e necessariamente, da una oscurità inconscia, innominabile, informe ed indeterminata, e tale caduta, che comporta la degradazione e la differenziazione degli esseri, dev’esser riassorbita nell’unità indifferenziata del tutto. Nella prima interpretazione l’uomo s’innalza per dono divino; nella seconda, l’uomo s’illude di ergersi immedesimandosi nel tutto. [...] La prima gnosi la chiamiamo «pura», la seconda «spuria». [...] La gnosi spuria, come l’abbiamo definita, ha matrici antichissime, ma - specialmente per la mediazione mesopotamica ed egiziana - diventa ebraica ed è dal focolaio ebraico che deriva un influsso forse preponderante in ambiente cristiano, come vari insigni autori hanno riconosciuto".
Ben detto, purché si interpreti «essere» come "esistente". L'altro nostro appunto riguarda la preponderanza ebraica, visto che gnostico illustre era anche il già citato Marcione, la cui devozione a san Paolo è ben nota, che rifiutava il Vecchio Testamento. Comunque sia, riepilogando, quel che rende intollerabile lo gnosticismo, cristiani, musulmani, taoisti o animisti che si sia, più che il ricorso a pratiche e rituali di dubbia congruità, è la scissione tra la sentina d'ogni vizio che è questo mondo demiurgico e Dio. In tal modo, negando la presenza divina nel creato, ma anelando comunque al divino oltremondano, tutto diventa lecito. In assenza della Sua grazia, possiamo contare solo sulle nostre forze (magari con l'ausilio di sex & drugs & rock & roll).
Con ciò non vogliamo certo sminuire l'importanza del ricorso a tecniche psicotrope (allucinogene, stupefacenti, ecc.). Da sempre, in India è prevista la duplice possibilità di lettura dei testi sacri, l'una vedica (o "della mano destra"), l'altra tantrica (o "della mano sinistra"). Anche chez nous l'alchimia prevede una via «secca» ed una via «umida», quella più lenta, ma più sicura, questa più veloce, ma più pericolosa. Sembra evidente che il pericolo è tanto maggiore, quanto minore - per non dir nulla - è l'umiltà del neofita (laddove per umiltà si intende un tirocinio in assoluta obbedienza ai dettami di un maestro qualificato; altrimenti, la sperata «liberazione» del meglio di sé rischia di trasformarsi nello 'scatenamento' del peggio di sé). Tutto sommato, è l'orgoglio la colpa dello gnostico spurio.



Se si volesse condensare il fine (e la fine) della conoscenza, ovvero della gnosi, in un solo concetto, questo è l'unicità dell'Universo (della Creazione, della Manifestazione, dell'Esistenza), unicità ed unità espresse nell'esoterismo islamico con la formula wahdat al-wujud. In questo quadro tutta l'affascinante molteplicità del reale, nel bene come nel male e nel piacere come nel dolore, svelata la sua fascinazione, si rivela null'altro che l'eterno Gioco dell'Uno, gioco nel quale il singolo individuo gioca il ruolo del giocato, non del giocatore. Ciò spiega la necessità della "soppressione dell'io" [del giocattolo], in arabo al-fanâ, quale condizione preliminare al raggiungimento della consapevolezza dell'Unità.
Stante quanto sopra, appare chiaro l'errore - in senso anche etimologico - di chi vagabonda nella caleidoscopica varietà di attrazioni della materia, con ciò vanamente sperando di attingere l'unicità dello spirito. Né la cosa va intesa solo eticamente, cioè nell'accezione comunemente detta «venerea»,* ossia somaticamente, ma anche psichicamente: essendo la molteplicità del reale la rifrazione dell'unico Reale, riflettervi significa perdersi. Sul tema, oltre al mito di Narciso, l'immagine tradizionale è quella dello specchio d'acqua, che riflette innumerevoli volte un solo raggio di sole: l'analisi razionale vede la pluralità; la sintesi intellettiva, l'unità.

* A proposito di Venere, che a ben vedere simboleggia la pietra dello scandalo (perché prima o poi, gratta gratta, si va sempre a finire in locis genitalibus), troppo ci sarebbe da dire. Volendo, si può consultare la funzione CERCA, ad inizio o a fine pagina. Stavolta ci limitiamo a far notare che, pur essendo innegabile la sua duplicità ("serotina e matutina" per Dante, Esperos e Phosphoros per Cicerone, "urania" e "pandemia" in un Platone che s'è voluto spacciare per teorico - rispettivamente, in questa ed in quella - dell'etero e dell'omoerotismo), l'imperativo dell'unità vieta di smarrirvisi. 
L'amuleto qui accanto è sempre stato un buon supporto alla meditazione su questo tema, anche nella sua versione cristiana. Fulcanelli, ne Il mistero delle cattedrali, sottolinea come "la pianta dei grandi edifici religiosi del medioevo, con l'adozione di un'abside semicircolare o ellittica saldata al coro, segua perfettamente la forma del segno ieratico egiziano della croce ansata (ank)".
Per finire, sempre a proposito di duplicità che deve risolversi in unità, moltiplicare le epifanie divine fino a farLo tri, tetra, penta e insomma pantomorfo - senza perciò scivolare nel politeismo - può aiutare a vivere il versetto coranico (LV, 27) che quotidianamente ci ricorda come, scomparsa l'una dietro l'altra ogni faccia, "resta solo il Volto, nella Sua potenza e nella Sua gloria".