«Il cristiano moderno - afferma Jean Borella - ignora la distinzione tra gnosi (o "conoscenza") e fede. Dice che la fede è una conoscenza, ma, luterano in realtà (anche se si crede tradizionale), non crede veramente in questa dimensione cognitiva della fede, nell'atto intellettivo della fede. In fondo, la fede, per lui, rivela la volontà e la grazia, non l'intelligenza, e la parola conoscenza non ha, in questo contesto, che un significato metaforico. La fede ci rivela l'esistenza di realtà soprannaturali che si accettano (o che si respingono, se la fede è assente), ma delle quali non c'è nessuna esperienza cognitiva. Una tale pre-concezione implicita della fede corrisponde non alla verità delle cose, bensì alle abitudini epistemologiche del mondo moderno, per il quale non c'è altra conoscenza se non la scientifica (impropriamente detta 'empirica', perché nulla è meno empirico dell'evoluzionismo, per esempio, o del relativismo). Più in là, si penetra nell'ambito della credenza. Non è questa la concezione di san Paolo, quella dei padri e quella dei dottori. Oltre la conoscenza scientifica (o empirica), c'è posto per la conoscenza metafisica.
San Paolo voleva che i suoi discepoli fossero colmi di questa gnosi (Romani, XV, 14). Cristo stesso rimprovera ai "dottori" della legge di avere rubato la chiave della gnosi: 'Disgraziati, voi, uomini della legge. Avete preso la chiave della gnosi. Non solo non entrate, ma impedite ad altri di entrare' (Luca, XI, 52)».

«Conviene prima di tutto - precisa M. Michel - evidenziare il concetto di gnosi degli gnosticismi dualisti (come il manicheismo, che è l'eresia metafisica per eccellenza), ovvero delle 'false gnosi' denunciate da sant'Ireneo. Altrimenti la questione non si pone affatto. Invece evocare la 'falsa gnosi' implica la legittimità di una vera gnosi.
L'idea di una via specificamente legata alla conoscenza [...] si collega in primo luogo all'antropologia tradizionale, secondo la quale l'uomo vive ed interagisce in tre sfere: quella oggettiva (le cose), quella intersoggettiva (i rapporti interpersonali) e quella soggettiva (le proprie rappresentazioni, relativamente alle due sfere precedenti). Di lì viene la vecchia costituzione delle società indoeuropee: rispettivamente, il terzo stato (vasyas e shudras), la nobiltà (kshatryas) ed il clero (brahmanas). Nel seno della cristianità tutta, ognuno, secondo il suo stato, persegue una via spirituale propria: a) i lavoratori, quella delle opere belle e buone; b) i nobili, quella della guerra santa, cioè del doppio impegno esterno (per ristabilire l'ordine sociale, in difesa della vedova, dell'orfano e comunque del debole) ed interno (contro le loro stesse passioni), cioè la via della bhakti (o 'devozione') e dell'«amor cortese» e c) i sacerdoti, quella della preghiera, della contemplazione e della conoscenza (o gnosi).
Attenzione. Non si opponga la conoscenza all'amore perché opere, guerra o conoscenza, ognuna delle vie è una manifestazione dell'amore. E ciò vale soprattutto per la conoscenza, se ricordiamo che in ebraico è la stessa parola che traduce sia ‘conoscere’ che ‘amare carnalmente’».

«Lo studio delle differenti manifestazioni del sacro - si chiede H. Montaigu - può condurre, in certi casi, al cristianesimo? In realtà il problema è piuttosto sapere se il cristianesimo, così come funziona oggigiorno, può condurre al sacro. Ciò, a meno che si voglia intendere, per 'sacro', una specie di entità psico-culturale privata di ogni carattere spirituale diverso da un pallido e lontano riflesso, ovvero una specie di droga con cui il mondo antico, debole come si sa, circondava la sua fede.
Se il cristianesimo è rivelazione divina (e probabilmente il sigillo della Rivelazione universale), ricapitola tutto e niente gli è estraneo. Chiunque può convenire, anche senza alcuna illuminazione, che la Conoscenza divina non può venir limitata alla chiusura umana ed alla rozzezza del visibile. Dio è tanto infinitamente inaccessibile quanto infinitamente grande. Negare l'interiorità della dottrina, cioè l'esoterismo, è limitare il deposito celeste a quello che ognuno può comprenderne, rischiando così di ridurlo al livello più basso. Perfino la fede più umile non può prescindere da prospettive vertiginose e da ‘prolungamenti’ indicibili. È per la perdita dell'interiorità che abbiamo fatto Dio a nostra immagine, anziché ri-farci ad immagine di Dio.
Le reticenze cattoliche sull'esoterismo, a non parlare delle crisi isteriche di alcuni, non si spiegano come reazione alla presenza massiccia e multiforme di un occultismo desolante, ma come conseguenza del liberalismo, dell'umanesimo, dell'enciclopedismo e di tutte le rivoluzioni degli ultimi due secoli. Si tratta di una contro-gnosi che non è difficile da riconoscere, poiché porta con sé tutti gli errori della modernità, nessuno escluso, e la cui sfrenata espansione dev'esser considerata un vero segno dei Tempi».