A proposito dell'affermazione di san Tommaso, relativa alla specificità di ogni singolo angelo, abbiamo già notato come la proliferazione indiscriminata dei componenti una specie svaluti ogni componente la specie in questione, riducendone - fin quasi ad annullarla - la differenziazione rispetto agli altri componenti. In questa prospettiva, come la differenza tra un umano e l'altro è maggiore di quella tra un animale e l'altro (e come la differenza tra un cane e l'altro è maggiore di quella tra una zanzara e l'altra), così la differenza tra un cespo d'insalata e l'altro è maggiore di quella tra un granello di sabbia e l'altro. Sempre in questa prospettiva, la differenziazione tra un componente e l'altro il singolo esemplare d'una specie, a partire dal regno minerale, si accentua progressivamente: per dirla con una figura retorica, un sasso è una sineddoche mgliore, per la roccia,* di quanto una zampa lo sia per il gatto. Inoltre, come un rametto di basilico può metter radici, per talea, trasformandosi in una piantina identica alla piantina d'origine, altrettanto non può dirsi d'un arto umano.

* Se la sineddoche comporta una relazione quantitativa tra la parte ed il tutto, in questo caso si dovrebbe parlare anche - qualitativamente - di metonimia: una scheggia di pietra è pietra a sua volta, sebbene più piccola della pietra da cui si è staccata.

Maggiore o minore differenziazione, quindi, non solo tra un individuo e l'altro, ma anche tra un componente e l'altro il singolo individuo. Più si sale, lungo la scala che va dal minerale all'animale, maggiore è l'importanza assunta da ogni componente il [o da ogni pezzo del] singolo rappresentante il regno; viceversa, più si scende, non solo si stenta a rilevare l'unicità e l'unità dell'individuo, ma, anche ammesso che vi si riesca, minore è la rilevanza, per quest'ultimo, di ogni sua parte. Un acino d'uva, relativamente insignificante nei confronti del grappolo (nel senso che non se ne nota la mancanza, soprattutto se si ha l'accortezza di staccarne anche il picciolo), lo si può difficilmente considerare indipendente dal grappolo stesso, dal ramo e dall'intera vite.
In altri termini, ma nello stesso ordine di idee, l'amputazione ad un uomo di un braccio, di una mano o anche solo di un dito non è (o almeno non sembra) paragonabile allo strappo da una vite di un ramo, di un grappolo o anche solo di un acino. Analogamente, l'ablazione di un'estremità è meno grave per un polipode (o polipo che si voglia) che per un quadrupede o per un bipede.
Tutto ciò, per evidenziare come la pretesa uguaglianza - ed il livellamento verso il basso che ne deriva - di ogni essere umano non sia altro che svalutazione. Uguali ad ogni nostro simile lo siamo, sì, ma solo in quanto creature nei confronti del Creatore.