L'autobiografia è sempre un po' riprovevole, perché chi vi si cimenta dimostra, con ciò, di considerare la propria vicenda umana degna dell'attenzione altrui. Non a caso si tratta di un genere letterario abbastanza recente, in bilico tra la vanagloria ed il piagnisteo.*
Ancor più riprovevole, l'autobiografia, se è opera di chi, avendo mire iniziatiche, persegue non solo «l'estinzione dell'io», ma addirittura «l'estinzione dell'estinzione» (nel sufismo, rispettivamente, el-fanâ e fanâ el-fanâ).
La sola eccezione ch'io conosca a quanto detto sopra (oltre al caso di sant'Agostino, le cui Confessioni hanno uno scopo edificante) riguarda Julius Evola, che nell'introdurre Il cammino del cinabro premette: "Se cenni autobiografici non potranno essere evitati, essi saranno però ridotti al minimo indispensabile". D'altro canto, proprio Evola ricorda che "avevo divisato di porre liberamente fine alla mia esistenza; allora, avevo circa ventitré anni. Questa soluzione problematica - la stessa che, sia pure con uno sfondo assai diverso, aveva portato un Weininger e un Michelstaedter alla catastrofe - fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, avuta nel leggere un testo del buddhismo delle origini (Majjhimanikayo, I, 1). [...] Nel testo è detto: «Chi prende l'estinzione come estinzione e, presa l'estinzione come estinzione, [...] si rallegra dell'estinzione, costui non conosce l'estinzione». Fu, per me, una luce improvvisa".

* Una delle prime autobiografie si intitola, infatti, "Storia delle mie disgrazie" (Historia calamitatum mearum). Su Abelardo e sulle sue sventure si rimanda chi vi sia interessato alla Wikipedia. Di Eloisa, invece, s'è detto qualcosa qui.

In tema di disgrazie [che ci si va a cercare], dal volume citato si riporta il passo seguente. Le note sono dell'autore (sebbene non a pie' di pagina, ma inserite fra parentesi nel testo).
"Sarei dovuto restare a Roma. Invece la forza delle cose mi spinse a lasciare la capitale. Attraversato il fronte, mi trasferii nell'Italia settentrionale e subito dopo a Vienna, dove ero stato già chiamato. In tale città, [...] in un bombardamento, riportai una lesione del midollo spinale che a tutta prima sembrò letale, ma che poi ebbe per conseguenza la paresi parziale delle estremità inferiori. Mi trovai bloccato in un ospedale. A dir vero, il fatto non fu privo di relazione con la norma da me già da tempo seguìta, di non schivare, anzi di cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte. È così che, ad esempio, a suo tempo avevo fatto non poche ascensioni rischiose in alta montagna. Ancor più mi ero tenuto a quella norma allora, presso al crollo di un mondo e al senso preciso di quel che sarebbe seguìto. Quel che mi accadde costituì tuttavia una risposta non facile ad interpretare. Nulla cambiava, tutto si riduceva ad un impedimento puramente fisico che, a parte fastidi pratici e certe limitazioni della vita profana, non mi toccava in nulla, la mia attività spirituale e intellettuale non essendone in alcun modo pregiudicata o modificata. La dottrina tradizionale che nei miei scritti ho spesso avuto occasione di esporre - quella, secondo la quale non vi è avvenimento rilevante l'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale - è anche quella di cui sono intimamente convinto, e tale dottrina non posso non applicarla anche alla contingenza ora riferita. Ricordarmi perché l'avevo voluta, epperò cogliere il suo senso più profondo nell'insieme della mia esistenza: questa sarebbe stata, dunque, l'unica cosa importante, importante assai più del «rimettermi», a cui non ho dato alcuno speciale peso.* Ma la nebbia a tale riguardo non si è ancora sfittita. Per intanto, mi sono adeguato con calma alla situazione, pensando che forse si tratta di dèi che han fatto pesare un po' troppo la mano, nello scherzare con loro. Vi è qualcuno che ha fatto circolare la diceria, che la contingenza occorsami sarebbe stata la conseguenza di chi sa quale mia «prometeica» impresa. Questa è, naturalmente, fantasia pura. In quel periodo avevo interrotto ogni attività che comunque riguardasse il sovrasensibile; fra l'altro, a Vienna ero in incognito, avevo assunto un altro nome. È però singolare ciò che lo stesso René Guénon sembrò a tutta prima incline a pensare: quando, ripresa la corrispondenza con lui dopo la guerra, lo informai del fatto (non senza un segreto desiderio di avere un aiuto a «capire»), egli mi chiese se non sospettassi di qualcuno che avesse potuto agire occultamente contro di me, aggiungendo che lui stesso si era trovato immobilizzato per interi mesi, apparentemente a causa di una artrite, in realtà per effetto dell'azione di qualcuno; ma lo stato tornò subito normale quando questo qualcuno fu scoperto e eliminato. Spiegai a Guénon che nulla del genere poteva valere pel mio caso e che, d'altra parte, si sarebbe dovuto pensare a un ben potente sortilegio, perché esso avrebbe dovuto determinare tutto un insieme di circostanze oggettive, l'attacco aereo, il momento e il punto dello sganciamento delle bombe e via dicendo. È curioso che, riferendomi non al mio, ma al suo caso (la pseudo-artrite), avendo chiesto al Guénon se chi abbia una levatura spirituale per ciò stesso non sia al riparo da ogni attacco «magico» o stregonico, egli mi rispose ricordandomi che, secondo la tradizione, lo stesso Profeta, cioè Maometto, non sarebbe stato, a tale riguardo, invulnerabile. L'idea è che su un certo piano psichico, o «sottile», i processi si svolgerebbero deterministicamente, come su quello fisico, dove, mettiamo, una pugnalata normalmente non ha effetti diversi a seconda della persona colpita.** Dopo aver trascorso circa due anni in cliniche austriache, nel 1948 rientrai in Italia.

* Del resto, nel punto in cui, per via di una maggiore luce, un ricordo del genere fosse affiorato o affiorasse, sarebbe data sicuramente anche la possibilità di rimuovere, volendolo, lo stesso fatto fisico.

** Veramente, a tale riguardo ho delle riserve, nel senso di ritenere che il processo di materializzazione dell'individuo, quindi il suo distacco dalle forze sottili della natura, ha avuto un effetto protettivo rispetto ad azioni sul genere di quelle ora accennate; la loro efficienza diminuisce fino a divenire nulla nei riguardi dell'uomo moderno intellettualizzato e cittadino, mentre può mantenersi in alcuni gruppi «arretrati» o «primitivi». In effetti lo stesso Guénon ebbe a dire che l'espressione «materialista incallito» è più lungimirante di
quanto possa apparire a prima vista.