Poiché Neapolis me genuit e poiché la canzone relativa, ovviamente d'epoca (forse come quelle, tanto apprezzate da Eloisa,* composte dallo sfortunato Abelardo), rappresenta tutto ciò che di Napoli resta a chi scrive, oltre alla tombola, presentiamo - grazie a G. Gasparro - un ritratto 'as a child' di Peppe Barra (vedi), artista che cogliamo l'occasione per salutare con affetto.

* Abelardo era musico e poeta, oltre che filosofo (come Dante, peraltro, ad onta del diverso atteggiamento verso san Bernardo). Lo provano le lettere indirizzategli dalla non meno sfortunata consorte, in una delle quali si legge che "specialmente due erano le doti con le quali potevi conquistarti l'animo di ogni donna: il dono del verso e quello del canto [dictandi et cantandi gratia], che gli altri filosofi - si sa - non posseggono. Con questo dono, simile a un giuoco che ricrea l'animo dalla fatica filosofica, componesti molte canzoni con verso e ritmo d'amore [amatorio metro vel rhythmo composita relinquisti carmina] che, per la grande soavità e della parola e del canto si diffondevano sempre più e facevan correre di continuo il tuo nome sulla bocca di tutti; e così la dolcezza della melodia [melodiae dulcedo] faceva volar la tua fama perfino fra gli illetterati. Per questo soprattutto le donne sospiravano d'amore per te [in amorem tui foeminae suspirabant]; e poiché la maggior parte di quelle poesie cantava il nostro amore, in breve io fui conosciuta ovunque, e sorse invidia di me in molte donne".

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Eloisa, che donna! È difficile restare indifferenti, nel leggere dichiarazioni come quelle che seguono (tratte sempre dal carteggio con Abelardo, passim).
"T'ho sempre amato d'un amore smodato [immoderato amore complexa sum]".
"Sei l'unico padrone del mio corpo e della mia anima".
"Per quanto il nome di moglie sembri migliore, per me è stato sempre più dolce quello di amica [dulcius mihi semper exstitit amicae vocabulum] o, se non ti scandalizzi, di concubina o di puttana [concubinae vel scorti], perché, quanto più mi fossi umiliata dinanzi a te tanto più ti sarei stata gradita e avrei meno offuscato il tuo splendore [excellentiae tuae gloriam minus laederem]".
"Chiamo Dio a testimone che, se Augusto stesso mi avesse fatto l'onore di offrirmi il matrimonio e mi avesse assicurato il perpetuo possesso di tutto il mondo [matrimonii honore dignaretur totumque mihi orbem confirmaret in perpetuo possidendum], mi sarebbe parso più caro e più degno esser chiamata la tua meretrice piuttosto che la sua imperatrice [tua dici meretrix quam illius imperatrix]".
"Le gioie da amanti [amantium voluptates] che provammo insieme mi sono state tanto dolci che non possono né dispiacermi, né sfuggirmi dalla memoria [nec displicere mihi, nec vix a memoria labi possint]. Dovunque mi volga, sono sempre presenti ai miei occhi e m'accendono di desiderio. Anche quando dormo, la loro suggestione mi tormenta. Perfino durante il rito solenne, quando più pura dovrebbe essere la preghiera, le immagini impudiche di quella voluttà m'inchiodano così tenacemente l'anima che mi sento disposta più a quelle turpitudini che alla preghiera [inter ipsa missarum solemnia, ubi purior esse debet oratio, obscena earum voluptatum phantasmata ita sibi penitus miserrimam captivant animam ut turpitudinibus illis magis quam orationi vacem]. E così, invece di gemere per quel che ho commesso, sospiro per quel che ho perduto [cum ingemiscere debeam de commissis, suspiro potius de amissis]. E non solo per quanto facevamo allora, ma anche per i luoghi e per i momenti in cui lo facevamo [nec solum quae egimus, sed loca pariter et tempora in quibus haec egimus]".
"Come si può parlare di vera penitenza quando, per grande che sia la mortificazione del corpo, l'animo rimane fermo nella volontà di peccare e arde degli antichi desiderii [si mens adhuc ipsam peccandi retinet voluntatem et pristinis aestuat desideriis]? È facile confessare i peccati e accusare se stessa, giungendo fino a mortificare il corpo; ma è difficilissimo svellere dall'animo il desiderio della voluttà suprema [difficillimum vero est a desideriis maximarum voluptatum avellere animum]".
"La gente loda la mia castità perché non sa che sono un'ipocrita [castam me praedicant qui non deprehendunt hypocritam]. Chiama virtù l'astinenza del corpo, ma la virtù non è nel corpo, bensì nell'anima. Dagli uomini posso anche essere lodata, ma presso Dio non ho alcun merito [nihil apud Deum mereor]".