Sebbene per certi versi fosse insopportabile, come quando diceva che la fede è un surrogato del denaro, Bertrand Russell non mi dispiaceva. Una sua considerazione sulla paura (o ansietà, se si preferisce) meriterebbe d’essere appesa in bagno, accanto allo specchio: “La paura è fatta di tante piccole paure e non c’è modo di liberarsene, se non facendola combattere contro se stessa. Meglio, facendo vincere ciascuna paura dalla paura uguale e contraria”.
In effetti, come il timore di perdere qualcosa di caro è bilanciabile col sospetto che sia troppo caro, quel quid cui teniamo, in termini sia di spesa (di tempo e di soldi), sia di rinuncia forzata, per incompatibilità, a qualcos’altro che potrebbe risultarci altrettanto - se non più - caro, stavolta in termini affettivi, così il timore di non ottenere qualcosa di caro è bilanciabile col sospetto che questo quid possa rivelarsi una fregatura.
D’altra parte l’irrimediabile duplicità (che l’umorista potrebbe definire «doppiezza») del creato fa ‘sì che tutto, niente escluso, se non altro per ragioni d’età, prima o poi si ribalti nel suo contrario. L’esoterista sa che ogni simbolo è interpretabile anche al contrario (sul che, vedi anche qui), ma non occorre iniziazione alcuna per dire che «ogni medaglia ha il suo rovescio» e pertanto, se si sa aspettare, per scoprire che ogni rovescio ha la sua medaglia.
Un buon esempio di questa tecnica è la domanda sottostante.
- Vivi una quieta disperazione o sei sposato?

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Una delle debolezze dello scrivente è l’ansia per la sua biblioteca, ansia da combattere con l’alternativa tra il libro cartaceo ed il libro elettronico, quello soddisfacente il tatto, la vista, l’olfatto ed il gusto [del possesso], questo virtuale. D’altra parte il primo è più sicuro del secondo, perché - a danno di quest’ultimo - può mancare la corrente, può impazzire il computer, può calare il segnale di rete, può chiudere i battenti questo o quel sito (e non puoi copiarteli tutti), eccetera. Per contro il secondo è più sicuro del primo, perché - a danno di quest’ultimo - può scoppiare un incendio, possono farne man bassa i ladri, può allagarsi casa (come è già successo), eccetera.
Eppure il primo è più comodo del secondo, perché puoi leggerlo anche sdraiato sul letto. E sfogliare le pagine ti obbliga a parecchie pause di riflessione.
Ciò non ostante, il secondo è più comodo del primo, perché, se cerchi qualcosa, la trovi subito.* Ricordi il tempo perso a cercare tra uno scaffale e l’altro quel verso del poeta? E poi, gli occhiali, metti, togli, rimetti e ritogli, dove li ho messi, dove li ho tolti ... Perciò uno, anziché al Rigutini-Fanfani, si raccomanda a san Gùgolo. Infine il primo, se lo scrivi, una volta pubblicato non puoi più rimetterci mano; il secondo è invece modificabile a volontà.

* Cogliamo l’occasione per ricordare che - come già detto a proposito del plurale, qui rigorosamente humilitatis - non è sempre la stessa persona, quella che scrive.

Una bella donna, guardarla è sempre un piacere. Toccarla, se te lo lascia fare, un piacere maggiore. Possederla, il piacere massimo (nel migliore dei casi, vicendevole).* E poi?
Il pertugio delegato all’uscita [del peggio di lei] ed all’entrata [del meglio di te] è prerogativa anche delle altre belle donne, sicché prima o poi - vuoi per obsolescenza, vuoi per deterioramento, vuoi per sazietà e vuoi per invecchiamento (sia tuo che suo) - cominci a pensare all’adulterio, se non addirittura alla separazione e al divorzio.
È inutile, sia perché finirai col risposarti (in tal caso, vedi sopra), sia perché l’eventuale prole nata dal matrimonio precedente ti rovinerà la vita che ti resta da vivere. Se poi a questa prole se ne aggiunge dell’altra, cosiddetta «di secondo letto», sei proprio finito.

* Piacere massimo, per noi non iniziati [ai piaceri ultraterreni]. Di costoro si è scritto qualcosa qui, relativamente ad agape e philìa. Quanto a chi obietta che cummannari ète megghiu ca futtiri, gli si risponderà che sì, è vero, si nun pueti cchiù futtiri.

La moglie di Jacopone da Todi era solita indossare un cilicio, evidentemente all’insaputa del marito (che infatti, dopo esser venuto a conoscenza della cosa, rimasto vedovo, vestì il saio francescano). Nei tempi oscuri di un millennio fa, quindi, non solo si considerava questa vita come una penitenza, ma si cercava per giunta di renderla ancor più penosa. Oggi, per fortuna, avendo progredito, ci siamo liberati dalle catene del catechismo, del «sennò la gente mormora» e del magistrato che ti sbatte in galera per adulterio.*
Siamo liberi, insomma, di riproporre più e più volte il paragrafo precedente. Siamo anche liberi di non sposarci, certo, e di vivere un giorno da leone, anziché cento da pecora. Un giorno solo, beninteso, perché cento giorni da leone comportano un leone vecchio, solo e malandato. Un leone che sta peggio d’una pecora, insomma.

* Sempre meglio della lapidazione, peraltro.

Quel che le femmine non hanno capito è che la liberalizzazione, inflazionando, svalorizza. La possibilità di godere di tutti i maschi desiderabili, sminuendo la figura archetipica del maschio, fa di quest’ultimo un giocattolo. Viceversa, la femmina che tuttora esige - perché all’archetipo non si comanda - di essere amata per quello che è o non per quello che ha, non si rende conto che la liberalizzazione ha fatto di quello che è una Barbie prodotta in serie e di quello che ha un orifizio «usa e getta».
Purtroppo, per una delle tante ironie del Padreterno, da questo orifizio spesso fuoriescono neonati, oltre che escrementi. E qui appare chiara la contraddizione tra la Legge immutabile (l’archetipo di cui sopra, celato all’interno di ciascuno di noi, l’orologio - anzi, la bomba ad orologeria - il cui ticchettio scandisce tutta la nostra esistenza) ed una delle tante, effimere, leggi dei governanti odierni.*
È da questa contraddizione che scaturiscono le vicende della cosiddetta «cronaca nera».
C’è bisogno di un legislatore illuminato, un nuovo Licurgo (nomen omen, “curo con la Luce”) che restituisca all’amore, alla sessualità, all’erotismo e insomma - per dirla con sant’Agostino - al “reciproco sfregamento di due mucose”, una dimensione sacra e drammatica.
Bisogna restituire al «fare sesso» la ieraticità dell’omne animal post coitum triste. Le bestie lo sanno ancora, noi - che pensiamo d’essere riusciti a tornare come sono loro - non più.

* Si parla molto (perché è trendy, fino al prossimo anno) di «società liquida». C’è del vero, in questa espressione, se si vuole alludere ai liquami della putrescenza. In mancanza di regole, il rispetto delle quali significa rinuncia, non c’è che la decomposizione. In proposito va ricordato che perfino certe forme orgiastiche dell’antichità (riservate ad un tipo d’uomo, come il vira del Pancatattva, ben diverso dal pashu che siamo noi moderni) erano non solo altamente ritualizzate, ma sottoposte a durissime regole d’astinenza.
Su quest'ultima, come sulla rinuncia ("estinzione" o فناء che si preferisca), ci si può intrattenere anche qui.