Da I paradossi del cristianesimo, dell’inimitabile Chesterton, si mutua il brano seguente, che si adatta a meraviglia a quanto detto altrove sui rapporti tra cristianesimo e modernità, questa potendo esser vista come conseguenza patologica di quello e, viceversa, quello potendosi leggere in chiave terapeutica, sia preventiva che curativa (in entrambi i casi divinamente lungimirante), di questa.
«La sola reale obiezione alla religione cristiana è semplicemente che è una sola religione. Il mondo è grande, pieno di popoli di diversa razza; il cristianesimo - si può ragionevolmente dire - è un fatto limitato principalmente ad una sola area del mondo: cominciò in Palestina, si è praticamente fermato in Europa. Questo argomento, quando ero giovane, mi faceva la debita impressione, e mi sentivo molto attirato verso una dottrina spesso predicata nelle società etiche, la dottrina secondo la quale esiste una inconsapevole grande Chiesa di tutta l’umanità fondata sull’onnipresenza della coscienza umana. I credi, si diceva, dividono gli uomini; la morale li unisce. Lo spirito può frugare nelle più strane e remote terre ed età, e troverà sempre un essenziale sentimento etico comune. [...] Io credetti vera questa dottrina della fratellanza di tutti gli uomini nel possesso di un unico sentimento morale, e la credo ancora, ma insieme con qualcos’altro. Ero fortemente irritato verso il cristianesimo perché ammetteva - almeno supponevo - che intere età ed imperi sfuggissero totalmente a questa luce di giustizia e di ragione. Ma allora mi capitava un fatto sorprendente: trovavo che quelli che dicevano che l’umanità era una sola chiesa [...] erano gli stessi che sostenevano che la morale è sempre cambiata e che quel che era vero in un’età era falso in un’altra. Se cercavo, mettiamo, un altare, mi si rispondeva che non ce n’è bisogno perché gli uomini nostri fratelli ci dànno chiari oracoli ed una fede nelle loro universali consuetudini e idealità. Ma se timidamente osservavo che una delle universali consuetudini umane è quella di avere un altare, i miei maestri di agnosticismo ciurlavano nel manico e dicevano che gli uomini sono sempre stati nelle tenebre superstiziose dei selvaggi. La loro quotidiana offesa al cristianesimo era che, mentre era stato la luce di un popolo, aveva lasciato tutti gli altri nell’oscurità; senonché era anche loro particolare vanto che la scienza e il progresso erano le scoperte di un solo popolo e che tutti gli altri erano immersi nelle tenebre. Quello che era un insulto per il cristianesimo doveva essere un elogio per loro, e sembrava esserci una strana malafede nella loro insistenza su queste due cose».