L'ipàllage (o enallage dell'aggettivo) è figura retorica che consiste nello spostamento grammaticale e semantico di un aggettivo, riferito ad un sostantivo diverso da quello a cui dovrebbe essere legato normalmente. Ad esempio, altae moenia Romae (Virgilio, Eneide, I, 7), cioè "le mura dell'alta Roma", invece di "le alte mura di Roma"; oppure gemina teguntur lumina nocte (Catullo, Canti, LI, 11-12), cioè "gli occhi sono coperti da una doppia notte", al posto di "entrambi gli occhi sono coperti dalla notte".
Utilizzata sistematicamente, l’ipàllage si accentua fino a trasformarsi in un’anomalìa linguistica per cui “si fa qualche cangiamento - osserva il glottologo - nelle espressioni, adoprando modi diversi da quelli che sarebbero ovvii e naturali; ad esempio, «ficcarsi il cappello in testa», invece di «ficcare la testa nel cappello»".
È quest’ultimo il caso oggi più frequente, del quale si danno innumerevoli applicazioni, come la sottostante, sia mediche che mediatiche.
- Signora, adesso metto il mio dito nel suo ombelico.
- Dottore, quello non è il mio ombelico.
- Non si preoccupi. Neppure questo è il mio dito.