«Ora brevemente abbiamo da narrare della isola ritrovata nell'Oceano verso mezzogiorno, e di quelle cose che in essa dicono esser fuori d'ogni credenza, e anco per qual cagione ella fosse ritrovata. Un Iambolo greco, il quale dalla prima fanciullezza fu nutrito e ammaestrato nelle buone lettere, dopo la morte del padre, che fu mercatante, si diede anch'egli ad attendere alla mercanzia. E passando in quelle parti di Arabia dove nascono le spezierie, co' suoi compagni insieme fu preso da' ladroni, e primamente con uno de' suoi conservi fu posto a guardar bestie, dipoi con esso lui fu un'altra volta preso da' negri e menato di là in quella parte dell'Etiopia ch'è vicina al mare. Costoro, essendo forestieri, furon presi per farne espiazione, cioè per purgar i peccati di quel paese. Era un costume appresso i detti negri che abitavano in quei luoghi, lasciato loro dagli antichi tempi per voce dell'oracolo degli dei e osservato già per venti progenie, cioè per seicento anni, conciosiaché una progenie si compiva in trenta anni, che dovessero far questa espiazione con due uomini forestieri. Tenevano apparecchiata una barchetta di conveniente grandezza, atta a sopportar la fortuna del mare, e che potesse esser governata da due uomini, e vi mettevano dentro tanta vettovaglia quanta fosse bastante a due uomini per sei mesi, e conducendogli sopra commettevan loro che, secondo il comandamento dell'oracolo, drizzassero la barchetta verso mezzogiorno, percioché anderiano ad una isola felice e ad uomini benigni e piacevoli, dove viveriano beatamente. E nel modo medesimo, se essi giugnessero salvi nella isola, la lor patria staria seicento anni felice e pacifica; ma se, spaventati dalla lunghezza del mare, si volgessero indrieto, come empi e cagione della ruina di tutta la sua gente sariano puniti con grandissimi supplicii. E dicono che li negri stanno ai lidi del mare faccendo gran feste e sontuosi sacrificii, e coronando quelli che mandan via, accioché si faccia la solita espiazione e che i due uomini abbiano prospera navigazione.

Iambolo adunque e il suo compagno, dopo il quarto mese, travagliati da molte fortune, furono trasportati all'isola sopra nominata, la cui forma era ritonda, di cinquemila stadii di circuito, cioè 625 miglia. Dove essendosi avicinati, alcuni degli abitanti andando loro incontro tiravano la barchetta a terra, altri correvano maravigliandosi della venuta de' forestieri, e benignamente e con amorevolezza gli riceverono, faccendo loro partecipi di quelle cose che si ritrovavano avere. Gli abitatori di questa isola sono molto differenti, nelle proprietà del corpo e nel modo del vivere, da quelli che abitano nei nostri paesi, che, ben che siano simili nella figura, nondimeno nella grandezza avanzano i nostri quattro cubiti. Le loro ossa si piegano alquanto e poi ritornano, a similitudine dei luoghi nervosi; hanno i corpi molli oltra misura, ma più gagliardi e forti dei nostri, percioché, prendendo essi con le mani cosa alcuna, nessuno gliela potrà cavar fuor delle dita. Non hanno peli salvo che nel capo, nei sopracigli, nelle palpebre e nel mento: le altre parti del corpo sono tanto polite che non vi appar pur un minimo pelo. Sono belli e graziosi, e di corpo molto ben formati. Hanno i fori degli orecchi molto più larghi che i nostri, sìcome sono anco da noi dissimili nella lingua, percioché la loro ha non so che di particolar concedutole dalla natura, e dal loro ingegno poi aiutato, avendola divisa fino ad un certo termine, talmente ch'ella è doppia fin alla radice. Usano parlar tanto vario che non solamente imitano ogni umana favella, ma contrafanno la varietà del cantar degli uccelli e universalmente ogni diversità di suono; e quel che par cosa più maravigliosa è che ad un tratto parlano insieme con due uomini perfettamente, e rispondendo e ragionando a proposito d'ogni particolar circonstanzia, percioché con una parte della lingua parlano ad uno e con l'altra all'altro. E dicesi ivi esser lo aere temperato come appresso quelli che abitano sotto l'equinoziale, e non sono travagliati né dal caldo né dal freddo. E tutte le stagioni dell’anno sono per la temperie sempre nel suo vigore, e, sì come scrive Omero, “Quivi si vede il pero sopra il pero | farsi maturo, e 'l pomo sopra il pomo; | qui l'uva acerba e in fior a tutte l'ore | dolce diviene, e 'l fico sopra il fico”. Oltra di ciò dicono che sempre il giorno è pari alla notte. Intorno al mezzodì niuna cosa fa ombra, percioché il sole batte perpendicolarmente sopra la testa. Vivono a parentele e communanze, le quali però insieme non trapassano il numero di quattrocento. Abitano nei prati, producendo la terra da se stessa, senza esser coltivata, gran copia di frutti per il vivere, percioché, per la virtù natural dell'isola e per il temperamento dell'aere, nascono i frutti da loro stessi in maggior quantità di quello che a loro faccia di bisogno. Nascono appresso di loro molte canne, che producono frutti in gran copia simili a ceci bianchi; raccolti che gli hanno, vi spargono sopra acqua calda, in finché crescano alla grandezza delle uova di colombi, quali poscia, schizzati e impastati con arte e cotti, mangiano per pane, per esser eccellenti di dolcezza. Nell'isola sono anche fonti molto grandi, dai quali in parte escono acque calde, che usano per bagni e per levar la stanchezza del corpo, e in parte sono fredde e sommamente dolci, di molto giovamento alla sanità. Attendono allo studio di ogni dottrina e massimamente all'astrologia. Usano lettere che in virtù di significare sono ventiotto, ma in caratteri sono sette, ciascuna delle quali in quattro modi si trasformano; non scrivono le righe a traverso come noi, ma d'alto a basso per linea diritta. Sono di lunghissima età, percioché vivono fin 150 anni, e per lo più senza veruna infirmità: se alcun si storpia o li viene alcun altro mancamento nel corpo, per certa legge severa lo constringono a morire. È costume appresso di loro di viver insino a una certa età, la qual compiuta che è, volontariamente moreno in diversi modi. Si trova appresso di loro una erba di tal virtù, che chiunque sopra quella si mette a giacere, da soavissimo sonno addormentato, non accorgendosi muore. Le donne non si maritano, ma a tutti sono communi, e i figliuolii che nascono come communi sono allevati e da tutti equalmente amati. I bambini sono spesse fiate cambiati dalle donne che gli allattano, accioché le madri non riconoschino i proprii figliuolii, onde aviene che, non essendo appresso di loro ambizione alcuna né particolar affezione, vivono unitamente senza discordia. Sono oltra di ciò nella detta isola certi animali di forma piccoli, ma di natura di corpo e per la virtù del sangue maravigliosi. Sono di forma ritonda, simili alla testuggine, e sopra la schiena segnati con due linee gialle in croce, e nel fine di ciascuna hanno un occhio e una bocca, di sorte che vedono con quattro occhi e con altretante bocche mangiano. Nondimeno il cibo va in una gola sola, e per quella poi passa in un ventre solo, dove ogni cosa vi concorre; similmente gli altri interiori sono semplici e non multiplicati. Hanno molti piedi intorno della circonferenzia, coi quali possono andar a che parte vogliono. Il sangue di questi animali affermano esser di maravigliosa virtù, perché ogni corpo tagliato (pur ch'egli abbi vita) bagnato in tal sangue subitamente si ricongiunge, e similmente una mano (per modo di parlar) troncata si riattacca insieme, fin che la ferita è fresca, e medesimamente le altre parti del corpo, pur che non siano di membri principali che tengono vita. Ciascuna communanza nutrisce un grandissimo uccello d'una estratta e particolar natura, col qual fanno prova di che disposizion di animo siano per esser i lor figliuolii piccolini, percioché pongono i bambini sopra gli uccelli, e se, volando in aere, i bambini stanno fermi senza spaventarsi gli allevano, ma se si inturbano per paura come stupidi e attoniti gli gettono via, come quelli che non siano per viver lungo tempo e non siano atti ad alcuna virtù dell'animo. In ciascuna communanza il più vecchio come re comanda agli altri, al quale tutti rendono ubbidienza: e avendo finiti cento e cinquanta anni, egli stesso secondo la legge si priva di vita, e dopo lui il più vecchio piglia il principato. Il mare che circonda l'isola, per la correntia grande, fa grandissimo crescer e discrescer, e al gusto è come dolce. Le stelle della nostra tramontana e molte altre che qui da noi si veggono, ivi non appareno. Sonvi altre sette isole vicine, della medesima grandezza e distanti una dall'altra equalmente, e le genti di quelle usano li medesimi costumi e le medesime leggi. E ancor che abbiano grandissima abbondanza di tutto ciò che fa di bisogno al vivere, e che la terra da se medesima lo produchi, nondimeno modestamente usano di queste delizie, amando i cibi simplici e cercando di nutrirsi quanto lor sia a bastanza. Mangiano carni e altre cose lesse e arroste; delli sapori che dalli cuochi con tanta arte sono stati trovati, e con tanta varietà preparati, del tutto ne sono ignoranti. Adorano li dei, e colui che contiene il tutto, e il sole e l'altre stelle. Pigliano pesci e uccelli d'infinite e diverse sorti; vi nascono anche spontaneamente infiniti arbori fruttiferi, e olivi e viti, dalle quali ne cavano gran copia d'olio e di vino. L'isola produce grandissimi serpenti, ma non fanno dispiacer agli uomini, ed essendo le loro carni di maravigliosa dolcezza, sono usate per cibo. Si fanno le veste d'una molle e lucente lana, cavandola di mezzo d'alcune canne, la qual mettendola insieme e tingendo con ostriche marine, fanno vestimenti di color di porpora eccellenti. Vi sono varii animali che, essendo fuori d'ogni openione, il parlarne non è facilmente creduto. Servano un fermo ordine di vivere, contentandosi ogni giorno d'un cibo solo, percioché un giorno è determinato a mangiar pesce, l'altro uccelli e alcune fiate animali terrestri; tal volta usano olive e altro cibo solo simplice. Si danno a far diversi esercizii per vicenda: alcuni servono l'un l'altro, alcuni pescano, alcuni esercitano l'arti e altri sono occupati intorno ad altre cose per commodità della vita; alcuni altri (eccetto i vecchi), compartendo le fatiche fra loro secondo che tocca la lor volta, attendono a servire. Nei sacri giorni della festa cantano inni in laude degli dei, massimamente del sole, a cui hanno se stessi e le isole dedicati. Sepeliscono i morti nel lito, faccendo la fossa nell'arena dove è calato il mare, acciò nel crescer il luogo sia ricoperto. Dicono che le canne, delle quali colgono il frutto sopra detto, crescono e diminuiscono secondo la luna. L'acqua dei fonti è dolce e sana, e mantiene la sua calidità se non vi è mescolata o acqua fredda o vino.

Iambolo e il suo compagno, essendo già sette anni stati nell'isola, finalmente dicono che furono cacciati via per forza, come uomini malvagi e di cattivi costumi. Apparecchiata adunque una barchetta e messovi dentro delle vettovaglie, furono costretti a partirsi, e in quattro mesi arrivorono in India, a certi luoghi arenosi e paludosi. Il compagno di Iambolo, in una fortuna che ebbero, si morì ed egli, capitato a una certa villa, fu dagli abitato ricondotto al re nella città di Palimbrotta, lontana dal mare il cammino di molte giornate. Il qual re, portando grande affezione a' greci e faccendo molta stima della lor dottrina, diede assai doni a Iambolo, e poi sicuramente il fece prima accompagnare in Persia, poscia a salvamento mandarlo in Grecia. Dipoi Iambolo di queste cose lasciò memoria, e scrisse di molte altre dell'India, che per lo adrieto dagli altri non erano state sapute».

Da G.B. Ramusio, La navigazione di Iambolo mercatante [“dai libri di Diodoro siculo, tradotta col debil nostro ingegno di lingua greca nella toscana”].