Tra le tante letture possibili del monosillabo sacro, vorremmo qui brevemente esaminare quella che rapporta la A allo stato di veglia, la U allo stato di sogno e la M al sonno propriamente detto, profondo e privo di sogni. Premesso che, nel linguaggio moderno, la differenza lessicale tra sogno e sonno s’è molto affievolita (come in ispagnolo, sueño in ambo i casi, ma con qualche eccezione, come in tedesco ed in inglese), laddove il sanscrito distingue nettamente tra svapna, rouyâ (dream) e nidrâ, shayanam, khâb (sleep), va detto che questa differenza non è di poco conto, perché denota un restringimento dell'area di consapevolezza alla sola vita di veglia. Non era così, fino ad ieri, visto che l'unificazione in O del dittongo AU (donde la pronuncia «OM»), mostra chiaramente l'identità dello stato di veglia e di quello di sogno, identità che, in termini tradizionali, è altresì paragonabile a quella tra la manifestazione formale crassa (pesante, corporea) e quella labile (leggera, incorporea). In un caso e nell'altro, insomma, si è sempre nell'ambito dell'individualità, rispettivamente, di un singolo corpo e di una singola anima (anche quest'ultima ormai, come lo stato di sogno, relegata nell'incoscienza).
Allo spirito compete invece la lettera M, lettera oscura e misteriosa come il sonno profondo di cui s'è detto, stato nel quale scompare l'individualità del singolo. A qual fine tutto ciò?
Da un lato, a ribadire l'equazione «esoterismo = estinzione dell'io»; dall'altro, a comprovare l'universalità del concetto di autoannullamento, concetto che da Eckhart a Nisargadatta accomuna iniziati e mistici d'ogni tempo e d'ogni paese. Al riguardo, la celebre espressione di Eckhart è «fuso, ma non confuso», che illustra bene l'immagine tradizionale del pelo di pecora (o di capra) scardassato, filato, tessuto e quindi «fuso, ma non confuso», in un tappeto. Chissà se Ungaretti pensava a questo, nel suo sentirsi "docile fibra del'Universo"?