Nel post dedicato alla radice ARG ed all'ottimo De Mysteriis di Bruno d'Ausser Berrau (affascinante cavalcata in lidi desueti, inesplorati - almeno da chi scrive - e soprattutto distanti tra loro sia nel tempo che nello spazio) ci siamo soffermati sulle sole valenze argentee, quindi bianche e luminose, del trilittero. Tuttavia s'è fatto un fugace accenno alle chiocciole (les escargots) ed al porpora, che poco "ciazzeccano" - come direbbe un noto politico nostrano - col tema.
Torniamo allora a d'Ausser Berrau, sempre in De Mysteriis, e lasciamoci guidare dall'autore.
«La radice ARG è singolare perché, mentre sinora ne abbiamo visti gli esiti indoeuropei, si ripresenta, ai fini del nostro argomentare, con non minore pregnanza, anche in ambito semitico. Infatti in ebraico argaman, con lo stesso significato in ittito, per la preziosità delle stoffe di red purple wool, ha la medesima connotazione economica sottesa all'argentum, esplicita nel francese argent [...]. Inoltre in accadico argamannu è purple, mentre è porpora nell'ugaritico argmn e nell'aramaico argwn. [...] La rarità della porpora la rendeva segno di maestà e perciò era strettamente connessa al potere regale (Giudici, VIII, 26). A Bisanzio vi era una sala, 'la Porphira', interamente rivestita di porpora e nella quale partorivano le imperatrici. Da qui il nome di 'porfirogenito', "nato nella porpora", riservato, tra i regnanti, solo a coloro che erano a loro volta figli di imperatori.
Tale sacralità, connessa al colore, si riflette anche sulla roccia di porfido: in Egitto, il più antico nome di sovrano, quello di Narmer, dietro il quale si cela forse lo stesso leggendario Menes, colui che unificò i regni del Basso e dell'Alto Egitto, è stato trovato a Saqqara, inciso su un vaso ricavato da tale pietra. A Roma, nella scultura, l'uso del porfido, emanazione visibile di quella ideologia di potere, era limitato alla rappresentazione delle statue degli imperatori, o di soggetti comunque correlati a tale maestà.* Nelle chiese, l'altare non è tale se non c'è una pietra di porfido ('Pietra Santa'), cosicché essa è presente anche negli altari mobili utilizzati per le Messe al campo. In alcune descrizioni, il Graal risulta essere anche una pietra ed un calice con dentro una pietra rossa (che era l'emblema - vas sanguinis - degli Chevaliers du divin Paraclet). Un grande vaso ansato di porfido - ancora un'evidente immagine del Graal; di esso si racconta sia stato donato da un'improbabile regina Eugubea di Cipro - appare in bella evidenza ed appositamente incorniciato da una notevole struttura gotica (primi anni del XIV secolo), a forma di trilobata edicola a baldacchino, nella Basilica inferiore di Assisi.


* Così i sarcofagi di porfido erano concessi solo agli imperatori sia nella Roma tardo-antica, sia a Costantinopoli mentre, a Ravenna, nel porfido, fu sepolto Teodorico e parimenti avvenne in Sicilia per i sovrani normanni e svevi. Di porfido è anche il sepolcro di alcuni pontefici medievali.

Le motivazioni dell'importanza di questa pietra purpurea vengono chiaramente espresse dai rituali noachici di un high degree del sistema massonico anglosassone, ovvero The Royal Ark Mariner, di netta impronta marinara e non muratoria».
Bene, siamo tornati in mare. Il rapporto tra il bianco e il rosso, però, sembra ancora in alto mare (sebbene alle chiocciole si debba, tradizionalmente, la produzione della porpora). All'uopo, ci viene in soccorso Google,* uno dei cui eBooks è la Dissertazione critica sopra la porpora rivocata entro i confini del rosso, di Bartolomeo Bizio, dotto farmacista veneziano.


* En passant, e fuori tema, è stato giustamente detto che ogni letterato dei secoli scorsi, oggi, avebbe pianto lacrime di commozione. Non si può non ringraziare la Provvidenza per l'insperato - e fino ad ieri insperabile - dono di un'immensa biblioteca, consultabile comodamente, gratis et amore Dei, in casa propria e provvista di uno schedario per argomenti duttile fino all'inverosimile.

«L’eminente prerogativa onde la porpora occupò tra le vesti il seggio più elevato e sublime, tenendo sempre umili e bassi tutti gli altri colori che si sforzarono di contenderle il posto, fu la sua qualità del cangiante, colla quale l’ingegno umano, emulando la creatrice natura, le tolse quasi di mano quel profondo segreto, mediante il quale è riposta nelle penne di alcuni uccelli e nelle gemme tutta la bellezza dell’iride, e donde si manifesta e dischiude secondo il vario modo con cui le penne o le gemme si veggono; cotalché, se oggidì le splendide corone sono il distintivo dei re, a que’ tempi potevano esserlo eziandio le porpore, le quali colle gemmate corone tanto mirabilmente gareggiavano. Né del cangiante della porpora sembra avervi alcun dubbio, perciocché [...] in mezzo ai varii brani degli scrittori, che quella proprietà della porpora comprovano, vedesi manifestamente apparire che que’ colori diversi della porpora, cioè il giallo, il ceruleo, il rossiccio, il violaceo e via discorrendo, non fossero sempre visibili, ma si manifestassero soltanto in grembo ad una specie di nerezza, secondo la varia postura delle vesti, come avviene di tutte le cose che posseggono il cangiante. Infatti tutte le porpore erano cangianti, e sembravano nere vedute dirittamente, dove dal basso in su e per traverso apparivano violacee, rossicce, cerulee, gialle, o d’altro colore, come veggiamo nell’iride celeste, nelle armi brunite, nelle piume del pavone e de’ colombi, le quali sotto alcune condizioni sembrandoci fosche o nere, ove si mutino gli angoli di riflessione, la mercé de’ quali ci sono vedute, incontanente fannosi gialle, cerulee, rosse, violacee, ed io aggiugnerei anche verdi.
Ora, se tutte le porpore erano cangianti, dunque in tutte si manifestavano tutti i colori, e perciò quando ancora fossero in piedi tutti gli argomenti contrarii e fosse vero che gli scrittori paragonassero la porpora al diverso colore dei fiori, dovremmo in tal caso concludere che gli antichi la dicessero violacea, cilestra, azzurra e gialla perché tale appariva nel cangiante. Fatevi descrivere il collo del colombo, dove non si dica ch’è cangiante, verrà trovato ora verde, ora giallo, ora cilestro, ora violaceo, ora purpureo, e nero e fosco, e di quanti colori più volete, cosicché il verde collo del colombo sarà detto con verità quanto il purpureo collo del medesimo, né per questo il colombo avrà due colli, ma sempre un solo.
[...] Anche la neve è detta purpurea, ma noi non per questo vorremo concludere che, se gli antichi avessero detta purpurea la neve per la ragione del colore, fossero così poveri di senno da collocarne il più vago dove non fosse colore alcuno. Noi vorremo allora anzi credere che, da que’ diligenti osservatori ch’erano della schietta natura e fedeli imitatori di lei, dicessero purpurea la neve per quell’effetto che produce, percossa che sia dalla luce, onde, rifrangendo i raggi del sole, brilla sovente di purpureo splendore, anzi sembrano non di rado levarsi dalla neve fiammelle di vivacissimo fuoco. Ecco perché la neve fu detta 'purpurea', cioè per la ragione del rosso, non mai perché gli antichi dicessero colore quello che non è. Della luce purpurea non parleremo, perché in grembo alla luce furono sempre tutti i colori, ed attraversando il cristallo dell’acqua, palesò sempre l’iride, nella quale primeggia il colore purpureo. Taceremo de’ cigni purpurei [...] e diremo soltanto che, qualora nessuna ragione del rosso si trovasse ne’ cigni, non per ciò vorremo credere la porpora un colore diverso dal rosso; e crederemo piuttosto che quella espressione, traslata ne’ cigni, avesse la medesima ragione che ha il canto di quegli uccelli colla celeste melodia de’ poeti, onde 'cigni' furono nominati. Laonde ci confermiamo nel proposito di non aggiustar mai la nostra fede alle parole traslate de’ poeti per decidere le quistioni scientifiche, perciocché, come fallerebbe di grosso quell’ornitologo il quale reputasse i cigni possedere il canto degli usignuoli, perché 'cigni' furono appellati i poeti, così crediamo che fallì colui il quale, per la bianchezza de’ cigni detti 'purpurei', credesse la porpora candida, che saria com'a dire che l’eccellenza del canto fosse il medesimo del più cupo silenzio o del più stucchevole e dissonante stridore».

Chiudiamo un occhio sull'affermazione di scarsa melodiosità del cigno, imputabile al positivismo dei tempi, e, dopo aver precisato, col buon vecchio Forcellini, che "poetice purpureus est nitidus, purus, splendidus, aspectu pulcher, cujuscumque coloris sit", aggiungiamo che "la materia colla quale gli antichi facevano la bellissima porpora - spiega ancora B. Bizio - era un tal fluido che si traeva da un ricettacolo proprio di alcune conchiglie marine". Tuttavia "sembra potersi arguire da' brani degli antichi che il magistero di quella mirabile tintura fosse chiuso e ristretto nelle mani de’ pratici operaii, e che di quello poco o nulla pervenisse a notizia degli scrittori, perché i processi che ci tramandarono sono così manchevoli e discrepanti che niuno, guidato da quelle debili scorte, potrebbe dar opera a ragionevoli tentativi, cosicché, per rimettere in vita quell’arte, è mestieri riedificare tutto intero il sontuoso edifizio, del quale, dopo la caduta,* non restano che pochi ed infermi avanzi, e tali che bastano appena a testimoniarcene la perduta esistenza. Sappiamo, per esempio, che le vesciche delle conchiglie, o, se erano piccole, tutta la conchiglia acciaccata, erano prima condite di sale e poscia due terze parti di quella materia con una di acqua, si facevan bollire per dieci giorni, dopo il qual tempo que’ succhi incipìebant efflorescere, che noi diremmo 'manifestavano la floridezza del colore'. E a quel punto si faceva saggio colla lana, e dove il colore non fosse venuto della richiesta bellezza, si continuava la bollitura del liquido. Noi qui non ci fermiamo a domandare quale sorta di bollitura fosse mai quella, la quale, continuata per dieci giorni ed anche più, bisognando, non rifiniva mai il liquido della caldaia, né bruciava la materia, perciocché breve bollitura sarìa bastata per isvaporare tutta l’acqua contenuta in quel succo e disseccare la materia e bruciarla".


* Ad onta dell'appena deprecato positivismo, il tono dell'autore qui si fa davvero biblico e ben si attaglierebbe a commentare le sorti dell'odierna Massoneria.

Cangiante, traslucida, mutevole ed iridescente, variegata, insomma policroma, misteriosa come l'argot, la bave d'escargot, la pourpre.