Abbiamo fatto dell'ironia, qua e là, sui nostri simili 'naturalizzati' immortali, su coloro cioè che trovano il tempo di arraffare il più possibile (dal materiale delle cose o delle persone all'immateriale del potere o della gloria), su questo nostro pianeta. Ironia facile, e probabilmente indebita, se è vero che nel "bicorno", o dhû l-qarnayn, del Corano (XVIII, 83-98) viene elogiato Alessandro Magno. Ma anche Giulio Cesare era devoto agli dei, sebbene le sue ambizioni terrene non conoscessero misura (tant'è che stava organizzando una spedizione contro i parti,* quando fu assassinato).


* In Iran. Ed era già andato in Inghilterra, a dorso di cavallo. A non parlare di Annibale Barca che, pur in una Tunisia distante un tiro di schioppo dalla Sicilia, attraversò i Pirenei e le Alpi in groppa ad un elefante.

A questi ultimi abbiamo fatto un rapido cenno anche qui. Ma il post di oggi è dedicato agli immortali veri, a quelli "senza padre, senza madre e senza genealogia". San Paolo - in un passo che abbiamo già citato - definisce così Melchìsedek e, in effetti, chi non ha una fine non può avere un inizio. Chi nasce, deve morire. Se non si muore, non si può nascere. Quindi anche la contrapposizione tra immortali «per nascita» e immortali «per adozione» è illusoria? Chissà. Se fosse così, come la metteremmo con la Madonna? E col Nocchìlia (che il Belli spiega trattarsi di "Enoc ed Elia, chiamati dal popolo col solo vocabolo «er Nocchilia»")?
Chiediamo venia a dèi ed a semidei. Il nostro intento non era che quello di schernire un po' la hybris di chi, non credendo a divinità veruna (tranne Mammona), sia pure un modesto unicorno, crede se stesso immortale.

Torniamo a Melchìsedek. Proprio Enoc, nel Libro omonimo (LXXI, 17-18), lo dice "uscito dal cadavere della madre già compiuto nel corpo, [che] parlava con la sua bocca e benediceva il Signore". L'anziana madre di Melchìsedek, infatti, Sofonim, che, oltre ad essere sterile, da tempo non giaceva col marito, s'era scoperta incinta proprio in punto di morte. Ora, quel che stupisce non è tanto il fatto che la partoriente sia una morta, per giunta in tarda età, quanto che il partorito sia un bel giovinetto. Che sia questa la caratteristica dei veri immortali? Invece di una [tunica di] pelle incartapecorita (come spesso ce la immaginiamo), un'incarnato d'eterna giovinezza?