Cos'è questa «estinzione» di cui spesso parliamo?
Da un lato, è la morte in vita (nel senso che il 'caro estinto', conservando le sue funzioni vitali, non è clinicamente morto); dall'altro, è un risveglio. Se è vero che la vita non è che un sogno, per smettere di sognare bisogna morire. In arabo, cioè nell'esoterismo islamico, «estinzione» è fanâ. Ora, sebbene sia un po' scorretto collegare voci foneticamente simili, ma eterogenee, non riusciamo a reprimere la tentazione di affiancare fanum - di cui s'è trattato nell'articolo di ieri - a fanâ.* Dal momento che, alle spalle di tutto, c'è sempre il "tutto" (pan, in greco), potrebbe non essere impossibile giustificare tale fantasia. Bene, una delle tante versioni del mito relativo a Pan vuole il dio innamorato d'una ninfa, Siringa, restìa a concederglisi; restìa a tal punto che, vistasi senza scampo, cerca rifugio in un canneto e si trasforma in una canna, indistinguibile dalle compagne. E Pan non può far altro, per baciare Siringa, che accostare alle labbra alcune di quelle canne. Nasce così il primo strumento a fiato, siringa, zufolo, piffero o flauto che si voglia.


* Scorrettezza per scorrettezza, tanto vale citare la voce seguente, che ieri abbiamo soppresso. Afanc (n.): cattle-devouring aquatic monster in celtic countries, from celtic abankos, "water-creature", i.e. ab ("from") + water (welsh afon, breton aven, "river", latin amnis, "stream", which is of italo-celtic origin). Naturalmente Pan, come l'omologo vedico Pushan, non farebbe male ad una mosca, ma in questo caso il tema interessante è rappresentato dall'acqua (fluviale, non marina), che ricorre sia nella Titanomachia, che vede Pan trasformarsi in pesce d'acqua dolce, che nell'Inno omerico relativo. In merito a Pushan, un epiteto del quale era pashupati ("protettore degli animali", per lo più selvatici), epiteto in seguito attribuito a Shiva, va notato che la stessa sua sorte è toccata a Pan, di cui Ermes è la 'controfigura' olimpica. Il denominatore comune di questi ultimi due è tuttavia l'Arcadia, fenomeno letterario dalle connotazioni esoteriche abbastanza controverse. Tornando all'afanc ed all'amnis, sembra il caso di notare - al di là di αμνήμη - la vicinanza tra quest'ultimo e l'«amnesia», tra la smemoratezza dell'acqua corrente e l'oblìo del fiume Lete.

Sia come sia, quel che ci interessa del mito è l'indistinzione di Siringa, canna tra le canne: la stessa 'indistinzione' esaltata nel taoismo,* lo stesso 'svuotamento' di cui parla il buddismo zen (portando ad esempio la canna di bambù alla quale vengono asportati - bucati con un ferro rovente, per l'esattezza - i dischi che separano una sezione dall'altra), la stessa 'estinzione', insomma, perseguita nel sufismo dal derviscio che imbocca il suo ney. In tono minore, si tratta del medesimo processo di spersonalizzazione adottato dai serpari abruzzesi, i nostrani incantatori di serpenti che ben sanno - o sapevano - la necessità di autoidentificarsi con la bestia, perché il sortilegio abbia effetto.

* "Chi - afferma Chuang Tze - ritrova la propria radice senza saperlo, non si allontana dall'indistinzione primordiale, mentre chi si sforza di prendere coscienza [della propria radice] se ne allontana irreparabilmente. Quando gli esseri [umani] non cercano di capire quel che sono, nascono [e muoiono] in perfetta naturalezza". È un modo come un altro per dire (con un aforisma sufi che rubiamo, nel ringraziarlo, a Gianfranco Bertagni) che "la conoscenza di Dio non si può trovare cercandola; ciò nonostante, chi non la cerca non la trova".