Di simboli spiraliformi quali la chiocciola, il gomitolo, la vite, il succhiello, il cavatappi, la molla, il labirinto, il mulinello, il vortice, l'otto, il caduceo (vimen, in latino), l'elica (elix, in greco), non ce n'è mai abbastanza. A proposito di quest'ultima, elix è anche il salice (salix, -licis), da intrecciare nei manufatti in vimini. Ed il Viminale era un colle sul quale abbondavano i salici. Ma la genealogia della parola - come precisa Bruno d'Ausser Berrau in Helgoland (saggio reperibile nella sezione a lui dedicata del sito Episteme) - va ben oltre: vi si collegano infatti i tedeschi heilig ("santo") e heil ("salute", "salvezza"), lo holy inglese ed il kalòs greco, nonché il kalya sanscrito ("ben fatto", "perfetto").

Più squadrati, ma non meno allusivi, sono lo svastica (che nei suoi due sensi di marcia - orario ed antiorario - riproduce i movimenti del sole e del firmamento, per un osservatore volto rispettivamente verso l'est e verso il nord) e la cosiddetta «greca» (màiandros, da cui il nostro "meandro"), che ci porta lontano.
Infatti, se andros è l'uomo, maia è sua madre.* È un gioco di cui il Bambino non si stanca mai, quello di nascere e far nascere sempre ed ovunque, a dispetto di qualsiasi intralcio naturale ed innaturale (chimico, farmaceutico, ecc.).** La Natura, ovvero la "nascitura" perpetua, è davvero il Gioco infinito.


* Tuttora, in greco moderno, maia significa "levatrice" (o addirittura "mezzamoglie"; in inglese, midwife).

** A rigor di termini, l'innaturale - provenendo comunque dalla Natura, che nel nostro caso è Madre Terra - non esiste. Inoltre, se fysis è "natura" e se il mondo fisico comprende anche le creature non corporee (invisibili, cioè, sebbene non inascoltabili), 'metafisico' e 'sovrannaturale' sono un solo aggettivo. Aggettivo attribuibile ad un solo essere, cioè all'Essere.


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Torniamo al gioco, argomento sul quale un'occhata qui
non guasterebbe. Oltre alla trottola (che, a pensarci bene, qualche capogiro lo provoca), un tipico trastullo infantile è quello dell'oca (anser, in latino; in inglese è goose, ma anche swan o "cigno"), gioco che contiene la "risposta" (in inglese, answer, anagramma sia di swan che di anser) a tante domande.* Nello spazio di questo breve articolo, ambientato nella Terra dell'Elica (o Heligoland) di cui sopra, la versione che ci interessa è quella oggi pomposamente chiamata «nastro di Möbius», consistente in una strisciolina di carta o di stoffa le cui estremità sono congiunte in modo che l'una sia il rovescio dell'altra (nell'immagine sottostante, congiunte non come in a, bensì - b - come in c).

* Le sue 64 caselle, l'ultima delle quali non numerata (a significare ogni possibilità - umana e no - di vita nuova, la penultima rappresentando l'anno climaterico per eccellenza, quello letale), hanno la loro eco sia negli scacchi che nell'I-king. Di questo va notata la definizione dell'ultimo esagramma ("prima del compimento") e del penultimo ("dopo il compimento"), definizione a prima vista un po' illogica, ma che ad un occhio più attento si rivela alludente a due diverse vite.

La cosa è tutt'altro che moderna, visto che un mosaico del III secolo d.C. (vedi) ce ne fornisce un esempio. Tuttavia merita d'esser riportata la descrizione che del «nastro di Möbius» offre la Wikipedia: "Le superfici ordinarie, ossia le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati ad osservare, hanno sempre due facce, per cui è possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l'altra, se non attraversando una linea di demarcazione costituita da uno spigolo [...]. Per queste superfici è possibile stabilire convenzionalmente un lato 'superiore' o 'inferiore', oppure 'interno' o 'esterno'. Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta. Solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Quindi si potrebbe passare da una superficie a quella 'dietro' senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo, ma semplicemente camminando abbastanza a lungo".

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Nonostante la caleidoscopica varietà delle manifestazioni del Creatore, tutti i suddetti richiami al procedere spiraliforme del nostro cosmo (laddove «spiraliforme» sta sia per "rotatorio" che per "elicoidale") si applicano soprattutto al tempo. Tempo ciclico, ovviamente, quello cosiddetto «lineare» non essendo che uno dei tanti vaneggiamenti moderni, ma ciclico non nel senso che ogni 'ricorso' sia la copia esatta di un 'corso' già trascorso. L'immagine tradizionale, al riguardo, è quella del vasaio che sovrappone i suoi serpentelli di creta, ognuno dei quali, pur 'mordendo' la propria coda, poggia quest'ultima sulla testa del serpentello sottostante, dimodoché l'anello da lui formato non è perfettamente 'in piano'. In tal modo - per dirla con un aforisma sufi - "le fasi dell'esistenza si ripetono, eppure non si ripetono".
Da quest'ottica abbiamo già esaminato la successione dei giorni della settimana, che s'è vista rispecchiare quella planetaria, secondo il crescere della distanza dalla Terra, solo a giorni alterni (LUNEDÌ - martedì - MERCOLEDÌ - giovedì - VENERDÌ - sabato - DOMENICA - lunedì - MARTEDÌ - mercoledì - GIOVEDÌ - venerdì - SABATO); sicché per completare il percorso occorrono quattordici giorni, quattordici stazioni della Via Crucis, due settimane, due pale di un'elica. 

Due pale di un'elica, ovvero
una doppia spirale.

Ελιξ, "era questo il nome - conclude d'Ausser Berrau, ancora in Helgoland - che veniva attribuito al simbolo della doppia spirale così diffuso nella Grecia arcaica e non solo là [...], doppia spirale nella quale il senso inverso delle due parti corrisponde ai due emisferi terrestri, cosicché i due centri stanno in luogo dei poli".

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Ora, come nell'emisfero australe l'orientamento è capovolto (l'est stando alla destra e l'ovest alla sinistra di un osservatore rivolto verso il nord-mezzogiorno), rispetto a quello boreale (dove l'est si trova alla sinistra e l'ovest alla destra di un osservatore rivolto verso il sud-mezzogiorno),* così la cadenza dei nomi dei giorni indica un'inversione della sequenza planetaria: crescente quella intra-solare, calante quella extra-solare.
Alla stessa conclusione si arriva confrontando la posizione celeste dei pianeti [rispetto alla Terra] con quella settimanale: se il primo giorno spetta al primo pianeta,** il secondo va al quinto pianeta, il terzo al secondo, il quarto al sesto, il quinto al terzo ed il sesto al settimo. Il quarto pianeta, come nell'immaginario medioevale, funge da imbuto o - più esattamente - da clessidra.
* Per quanto la precisazione sembri ovvia, questo rovesciamento non va dato sempre per scontato. Chi scrive, per esempio, ha stentato a rendersi conto che nell'altro emisfero il muschio (tradizionale indicatore del nord, sul tronco di un albero) indica il sud.

** Come è palese, in quanto scriviamo adottiamo il punto di vista dell'astrologia classica, che considera pianeti, con ovvie differenze gerarchiche, anche Sole e Luna. Altrettanto dicasi della prospettiva geocentrica - che peraltro sembra l'unica possibile a chi abbia letteralmente i piedi per terra - e della messa in non cale dei transaturniani. A proposito di questi ultimi, che prima erano in tre ed ora sono rimasti in due (il povero Plutone essendo stato declassato), vien da chiedersi come faccia l'astrologo moderno a tenere il passo all'inarrestabile «chiodo scaccia chiodo» di 'scoperte' ognuna delle quali smentisce la precedente.