Troppe variabili annullano ogni capacità di previsione. E talvolta ogni capacità di pura e semplice affermazione.
Quel che è vero da un lato, cioè da un punto di vista, non lo è dall'altro.
E i punti di vista sono innumerevoli, dipendendo non solo dal variare del singolo osservatore (io, tu, lui, noi, ecc.), ma anche dal variare degli stati d'animo (serenità, euforia, depressione, ecc.) del singolo osservatore e - soprattutto - dal variare nel tempo o nello spazio del punto di vista del singolo osservatore. Fin qui, le variabili del soggetto. Se poi prendiamo in esame anche le variabili dell'oggetto osservato, finiamo col tacere del tutto.
La cosiddetta «bella di notte» (o mirabilis jalapa), per esempio, di giorno è abbastanza insignificante.
La provvidenziale fortuna di noi esseri umani è perciò quella di poterci porre da più di un punto di vista. Non da tutti, evidentemente, ma almeno da più d'uno (il che ci permette di non perder tempo a discutere intorno al modo migliore di sgusciare l'uovo sodo).

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Si suol dire che qualcosa (un farmaco, una melodia, una bevanda, ecc.) può rappresentare sia un veleno che una medicina. Indiscutibilmente, il variare della quantità fa una bella differenza: quasi tutto, assunto in dosi eccessive, diventa nocivo.* Eppure anche quest'affermazione è parzialmente falsa, poiché ci sono cose che non solo, «più ne prendi, meglio stai», ma che, a differenza di altri beni di consumo, più se ne gode, più aumentano. Come la pace, che si accresce col numero degli utenti. O come la leggerezza, che, più ce n'è, meno pesa.

* Anche in campo omeopatico, sebbene al contrario (la potenza aumentando con la diluizione), vige la regola per cui «il troppo stroppia». Tra Hahnemann e Mitridate, in ogni caso, c'è posto per chiunque.

Inoltre la differenza tra veleno e medicina può non essere solo quantitativa, senza perciò potersi definire qualitativa. L'uso del vino, ad esempio, esige un'apollinea moderazione; tuttavia il suo abuso genera quell'ubriachezza dionisiaca che Chuang Tze elogia in un ben noto passo (citato qui), considerandola una liberazione dall'handicap dell'autocoscienza (o dell'autocontrollo) e con ciò paragonandola alla fede di chi si abbandona alla volontà del Cielo, anziché alla propria. Del resto anche la fede, più è condivisa, più cresce.* Ma il bello - o il brutto - del vino è nel suo far emergere la vera personalità di chi ne beve, sicché l'allentamento dei freni inibitorii di Tizio può mettere Caio di fronte sia ad un diavolo che ad un angelo. In questo caso, la differenza è sì qualitativa, ma del bevitore, non della bevanda.

* Pensiamo all'attuale ministro russo della Difesa, il cui segno della croce, in occasione della parata militare del 9 maggio 2015, ha sollevato un'ondata di entusiasmo in tanti cristiani. Naturalmente, il gesto può esser giudicato sia plateale che sobrio, in entrambi i casi a torto od a ragione. A proposito di Russia [e dell'older post], un'altra constatazione che invita alla cautela nel trinciare giudizii riguarda la metamorfosi di Mosca, ieri polo dell'antireligiosità, dell'antinazionalismo e in una parola dell'antitradizione, oggi polo opposto. Anche questa è una forma di proiezione, perché riversiamo sul prossimo quanto rifiutiamo di noi (in qualche modo liberandocene). Naturalmente il trucco non funziona a lungo e prima o poi, per restare in termini psicoanalitici, si ha il «ritorno del represso».

Sulla coesistenza, intesa sia come contemporaneità che come cospazialità, dei contrarii, un bell'esempio lo fornisce "la retta via" (as sirat al mustaqim, the right path, ecc.), laddove l'aggettivo «retta» sta sia per 'diritta' che per 'sinuosa'. Questa contraddizione è tale solo se non si chiarisce preventivamente il punto di vista, ovvero la direzione ascendente o discendente del dantesco "raggio de l'alta luce che da sé è vera": dall'alto celeste verso il basso il raggio appare diritto come un raggio di sole,* mentre la raffigurazione di un moto dal basso verso l'alto è quasi sempre oscillante come l'ascensione di un palloncino (o di una mongolfiera). Infatti in uno spazio piano (o monodimensionale), come quello dell'iconografia religiosa, la direzione successiva al nord, all'est, al sud ed all'ovest, cioè lo zenit perpendicolare (o 'normale'), viene presentata così, in maniera ondeggiante. Ed altrettanto vale per la direzione dell'esoterico «settimo raggio», quello cioè che, dato un punto, va verso l'interno del punto stesso.

* Puntualmente, è vero anche il contrario, come nel caso dello zig-zag di un lampo. Sul tema, si può far notare anche la tradizionale compresenza di spade con lama diritta, ricurva o serpeggiante (come il kriss malese).

Quanto sopra non deve però indurre al relativismo, vuoi etico, vuoi gnoseologico. C'è un tempo per ogni cosa. "C'è un tempo per nascere - recita l'Ecclesiaste (III, 2 - 8) - e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci, un tempo per trovare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttare, un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare, un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace".
Come c'è un tempo, così c'è uno spazio per ogni cosa. C'é uno spazio per onorare il Signore ed uno spazio per badare al proprio corpo, uno spazio per dormire ed uno spazio per mangiare e così via. Pure al nostro interno, in fondo, c'è uno spazio per i gioielli e uno spazio per l'immondizia.