Due etimi relativi al gioco degli scacchi: a) «alfiere» - o «alfino» - è dallo spagnolo alférez, a sua volta derivato dall'arabo al-fil ("l'elefante", in senso bellico), omofono anche in persiano; b) «scaccomatto» è dalla dicitura arabo-persiana che segna la conclusione del gioco, cioè shah mat, ossia "il re è morto".

Ancora e di nuovo sul simbolismo degli scacchi, dopo un fugace accenno al numero sessantaquattro (che, accomunando la somma dei quadrati agli esagrammi dell’I-king, fa del «gioco» una cifra cosmologica non esente da riferimenti ciclici quali la precessione degli equinozii), vorremmo stavolta porre nel debito risalto una metafora che ben si adatta ai nostri tempi democratici, la metafora cioè del pedone/peone che è l’uomo di fine secolo (laddove con «secolo» ci riferiamo a quello che la sibilla annuncia «solvere in favilla»).
È la metafora riposta nella regola che permette ai pezzi più numerosi e meno importanti, una volta pervenuti al limite opposto a quello di partenza, di trasformarsi in qualsivoglia altro pezzo, eccezion fatta per il cosiddetto «re» (la cui identità sacerdotale, come già detto, è resa palese dalla croce che lo sovrasta). È la metafora, insomma, della speranziella che tutti, non ostante la nostra invincibile puzza di piedi, possiamo nutrire. Ed è una metafora, infine, peculiarmente cristiana.