In merito ai rapporti tra Islam e vino, leggiamo che «un versetto del Corano intima ai fedeli di non entrare in moschea ubriachi. Se ne può dedurre che all'esterno della moschea sia lecito alzare il gomito». Effettivamente, nel terzo libro sacro al monoteismo, si trova scritto che "è vietato pregare in istato di ebbrezza" (IV, 43).
Purtroppo, però, questo passo non è l'unico a trattare l'argomento. Dopo una cauta messa in guardia ("dal dattero e dall'uva - XVI, 67 - si estrae quanto è, al tempo stesso, bevanda inebriante e buon nutrimento; questo è un segno, per chi sa comprendere"), si passa infatti alla minaccia prima ("dal vino l'uomo ricava - II, 219 - alcuni pro e molti contro; più questi che quelli, in verità") e poi alla condanna ("il vino è lo strumento di cui si serve Satana - V, 90-91 - per eccitare, irritare ed indurre gli uomini alla lite"). Non basta. Un luogo della Sunna vuole kullu muskirin khamr wa kullu khamr haram ("tutto ciò che inebria è vino e tutto ciò che è vino è proibito").
Vanno tuttavia ricordati gli entusiasmi bacchici di Khayyam (e perfino di Khomeini, che non può esser certo sospettato di scarsa ortodossia). Al riguardo, enolatria letterale o metaforica che si voglia, ecco una bella quartina del "tendaio" (questo significando khayyam, nome palesemente legato al mestiere paterno, mestiere che, tra l'altro, era anche quello di san Paolo).
"Voglio adorare il vino, | bevendone in segreto, un po' alla volta, ma spesso, | per non finire come te, meschino, | che non adori altro che te stesso".