Un curioso vezzo dell'idioma partenopeo è quello che possiamo definire «genitivo eufonico». Sebbene, vista la sua inutilità, a rigore eufonico non sia, non c'è dubbio che la sua presenza ingentilisca d'un tocco di finezza locuzioni altrimenti un po' grevi.
Esempio: "Tizio si sente di fottere".
Come è evidente, quella preposizione non solo è superflua, ma rovescia addirittura il senso della frase (trasformando Tizio, che paventa l'intrusione di un quid alieno nel vaso improprio, da oggetto passivo in soggetto attivo). In questo caso,* più che di eufonia, si tratta di eulogia (sive eufemìa), perché proiettare verbalmente sull'agito quanto pertiene fattualmente all'attore (o all'agente) - e.g. nel caso di formule quali «col Suo permesso» o «come Lei ben capisce» - è pura e semplice cortesia.

* Altri esempi, come «capo di chino», sono invece quelli di un puro e semplice intercalare. Il senso, infatti, non ne viene modificato (tant'è che il suo esatto equivalente è «capa sotto», ovvero "testa bassa").

La stessa cortesia che s'usava nelle corti del bel tempo andato, consistente in teoria nell'offrire il proprio servigio [alla forosetta di turno] e in pratica nel fare il servizio [alla medesima], è quella imperante nell'attuale democrazia. Il regime moderno si basa infatti esclusivamente sulla suddetta tecnica del ribaltamento eufemistico, emblemi della quale sono le giaculatorie in cui ciascuno di noi, futendo in factis ("si sente fottere"), viene presentato in verbis quale futuro ("si sente di fottere").