Una favola (fabula, in latino) non è una fandonia, bensì (da for, faris) “ciò che si può dire [di quanto è propriamente indicibile]”. Come il mito (mythos, in greco) allude al silenzio del mutismo, così la favola suggerisce una versione «pubblicabile» del mistero, versione edulcorata finché si vuole, ma in ogni caso utile, edificante, atta a favorire la crescita. Crescita nel bene o crescita nel male? Dipende, come sempre, da chi favoleggia, da chi favorisce e conseguentemente dai fini per i quali favorisce.

Favorire (dal latino favère, con lo stesso significato) è verbo la cui assonanza con l’umile fava (in latino, faba) può sembrare casuale e quindi irrilevante. Analogo discorso vale per la favola (fabula, i.e. “piccola fava”). Ma per gli antichi, a parte Democrito che, avendo posto «’l mondo a caso», è perciò posto nell’Inferno (IV, 136), il caso non esisteva, tant’è che una delle discipline vediche, il nirukta, è interamente dedicata alle affinità fonetiche.
Premessa la neutralità (o, se si preferisce, la doppiezza) di «favorire», applicabile sia in senso benigno (“favore”) che maligno (“favoreggiamento”), vediamo che anche la favola è ormai scivolata nel bassofondo semantico della menzogna. E la fava?
Sebbene «fava» sia dal greco fàgo (“mangio”), Pitagora ne diffidava, Cicerone le attribuiva brutti sogni ed Aristotele preferiva limitarne l’uso alle elezioni politiche (usanza ancor viva nel tardo medio evo, visto che i fiorentini chiamavano «fave» i voti).
Inoltre, favorire per favorire, non va trascurata l’attestazione di Plinio secondo la quale le giumente vengono non di rado ingravidate dal favonio (föhn, scirocco o [vento del] fauno che fosse), attestazione notevole perché l’autore - nella sua Storia naturale, VIII, 166 - precisa che il puledro così generato è a) molto veloce e b) poco longevo. Effimero, sicché, come ogni artificio diabolico (faunesco, satiriaco, in una parola satanico).
Se ciò ha un minimo di senso, si potrebbe ipotizzare che le caratteristiche negative della fava, dal meteorismo che induce alla sodomia cui allude, rappresentino l’aspetto deteriore di una favola che, tra aria fritta e prese pel culo, si fa tout court sinonimo di democrazia, relegando in un mondo fantastico tutto ciò che, per il tradizionalista, è la pura verità.
Quo usque tandem? Finché è favente l’effimero favonio.

oOo

A proposito della fava, elettorale o meno, ecco di seguito qualcosa da un almanacco toscano del 1874.
Ver è che quel grand'uomo di Cavurre
disse: "La libertà la costa cara".
Ma se con ciò ci si dovea condurre
a distenderci vivi nella bara,
l'era meglio a restar come si stava.
Morale? La libertà ell'è una fava. 
Nihil sub sole novi, sicché, almeno da qualche secolo a questa parte. Ed ora, fatti gli italiani, seppur con qualche 'grido di dolore', bisogna fare gli europei. Ce lo chiede il futuro (termine di cui s'è trattato qui). Sul tema va citata un'altra particolarità, consistente nell'inspiegabile relazione tra arretratezza (povertà, sottosviluppo, euroscetticismo, ecc.) e favismo, patologia talvolta letale che colpisce soprattutto i greci e - tra gli italiani - i sardi.