È notevole l'assonanza, in aramaico, tra 'abnayya (“pietre”) e benayya (“figli”), la stessa assonanza che c'è in greco tra làas (o làos) e laòs, cioè tra “pietra” e “popolo”. È notevole, perché dimostra che i greci non erano i soli a vedere questa equivalenza (dal sasso che, in bocca a Saturno, fece le veci di Giove, padre degli umani, a Deucalione e Pirra, le pietre gettate dai quali si trasformarono rispettivamente in maschi e femmine), metaforicamente attestata anche nei Vangeli (ad esempio, Luca, II, 7). Chissà se il paragone regge pure con l'Adamo biblico? E chissà se «liturgia» (dal greco lèitos o làitos, “pubblico”, derivato a sua volta da laòs, “popolo”), oltre che l’arte di officiare cerimonie pubbliche, sia anche l’arte di lavorare [con] la pietra (nel duplice senso dell’intaglio, nel caso della scultura, e della costruzione, in quello dell’architettura), essendo “pietra”, sempre in greco, anche lithos? E se «liturgia» fosse addirittura l'arte di generare, ovvero la classica ars gignendi?
In effetti il verbo «generare», attraverso l'ingenuità dello stare in ginocchio (posizione congeniale alla partoriente tradizionale, in genua procumbens),* arriva fino alla Grande Madre Gea-Ghea-Gaia ("genus a gignendo dictum - postilla sant'Isidoro - cui derivatum nomen a terra, ex qua omnia gignuntur; ge enim graece terra dicitur").

* Dalla radice GN prorompe un albero gigantesco, come s'è visto altrove, vero albero della conoscenza. Dal cognosco latino al gignosko greco si risale infatti agevolmente - con un po' d'ingegno e forse di genialità, magari con l'aiuto di genii (jinn, in arabo) e gnomi - alla generazione cui concorrono entrambi i generi. L'esser poi le ginocchia (genua, in latino) intimamente legate al genere femminile ('ché "femmina" è gyné, in greco), dalla gestazione ("stare in ginocchione", ad esempio in dialetto romanesco) al parto, è altrettanto mirabile.

Dalla conoscenza alla memoria (intesa anche nel senso del susseguirsi delle generazioni, quindi - senza velleità etimologiche - come μή μορια), il passo è breve. Del resto, su pietra si incide solo qualcosa di memorabile. Inoltre si può supporre che una pietra grezza, non ancora polita né levigata, conservi la memoria del monolito di cui faceva parte. Per contro, se non intervenisse la smemoratezza, la vita sarebbe impossibile. Ad esempio si può affermare che, se ricordassimo il mondo di là, nessuno di noi resterebbe su questo. A tal riguardo, più d'un mistico ha cercato di rendere la memoria del passato terreno inversamente proporzionale a quella del passato ultraterreno (essendo il mondo di là il contrario speculare del mondo di qua, come gli ultimi di qua sono i primi di là), facendo di sé un individuo talmente immerso nel ricordo di Dio da scordare ogni altra cosa. A ciò si collega la differenza semantica tra ricordare e rammentare (ovvero scordare e dimenticare), il primo verbo alludendo al cuore-intelletto e, il secondo, alla mente-ragione.* Infine, se è vero che alla fine dei tempi, quando lo spazio viene divorato dal tempo, quest'ultimo si tramuta nello spazio dell'eterno presente, ciò comporta tra l'altro la scomparsa della memoria. Tra l'altro, si ripete, perché una delle tante implicazioni di questa profezia vuole che la femmina-tempo, divorato il maschio-spazio, si tramuti nell'androgino primordiale (ovvero, per tornare alla pietra da cui siamo partiti, nel monolito dell'unità primigenia).

* Intelletto e ragione intessono tra loro ben altre analogie, da quella tra il cuore-sole-aql-ruh (in arabo, rispettivamente, "intelletto" e "spirito") e la simultaneità dello spazio a quella tra la mente-luna-manteq-nafs (ancora in arabo, rispettivamente, "ragione" e "anima") e la successione del tempo. Così l'opposizione e la complementarietà tra maschio e femmina, tra ascolto e lettura, tra nomadismo e stanzialità.

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Ancora senza pretese etimologiche, se l'aql arabo è l'aquila dell'intelletto, la ragione è proprio una gallina. Eppure è questa che contraddistingue l'uomo, quasi universalmente definito dalla lunare radice MN. L'arabo manteq, donde "mente", "mantica" e "matematica" (ma anche metron e mensura, come man, mind e moon) è significativo, al riguardo. Si può aggiungere che la mente/ragione definisce l'uomo in quanto individuo, cioè come altro rispetto al mondo (alla Natura, a Dio), laddove l'intelletto è sovrapersonale. Una bella metafora indù vuole la ragione capiente (almeno fin quando riesce a capire) e l'intelletto capito, perché penetrante. L'allusione erotica è palese, ma il riferimento obbligato va verso il mare, che la ragione tenta di comprendere come un bicchiere vorrebbe contenere e che l'intelletto, lungi dal ritrarsi, penetra tuffandovisi. Che poi il tuffo diventi mortale, è ovvio. In questo risiede la spersonalizzazione, ovvero la fusione nel Tutto. Fuso - diceva mastro Eckhart - ma non confuso.
A proposito di MN, c'è anche il greco manthàno, donde Prometeo, che pre-vede, ed Epimeteo, che vede dopo [la morte?] e la cui razionalità è pertanto inutile, se non assente. Forse è vano attribuire ad Epimeteo le caratteristiche unificanti dell'intelletto ed a Prometeo quelle parcellizzanti della ragione (se ragione e razione/frazione hanno qualcosa in comune), purtuttavia la cosa non manca di suggestioni, perché spiegherebbe a) l'acquiescenza di Epimeteo e la riottosità di Prometeo al volere divino, b) il privilegiamento degli animali, rispetto agli umani, del primo e c) il diverso atteggiamento dei due fratelli nei confronti della calamitante, seppur calamitosa, Pandora.
Per chiudere tornando alle righe iniziali, infine, la moglie di Deucalione/Noè, Pirra (nel mito greco, la capostipite post-diluviana del genere femminile), è figlia di Epimeteo - teste Esiodo - e pertanto di Pandora.