S'usa dire, riferendosi al pastore e alla puttana, che «i due mestieri più antichi del mondo cominciano entrambi con la P». E non solo in italiano.
Vengono in mente, da un lato, l’esotericità del 'pi' greco e, dall’altro, l’universalità del concetto di «dono-sacrificio-perdita», inteso in questo caso come fuoriuscita sia del seme che dell’escremento (papà, pipì, pupù). Forse non a caso la frequente apertura dell’occlusiva bilabiale ‘p’ nella fricativa ‘ph’ (come, ad esempio, in pater-father) simboleggia l’emissione per eccellenza, quella del divino Fiato e perciò dello Spirito, emissione emblematizzata dall'aspirazione tuttora presente nel calabrese (i.e. nel calabro-saudita) e nell'arabo.
Né può agevolmente dirsi casuale la concomitanza a) dell'onomatopea popolare invitante al silenzio, b) del candelabro raffigurante lo 'psi' greco e c) della lettera iniziale dei termini psalmos, psalmus, psalm e consimili.



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Vista allo specchio, la radice PS diventa SP. Non potendo noi in alcun modo vedere l'Invisibile, quel poco che riusciamo ad intravedere è appunto per speculum.
Speriamo che lo specchio (specchio d'acqua, spicchio di luna) non ci renda un'immagine deformata.
L'esperienza insegna il contrario, è pur vero (donde il nome, e-sperienza). Ma si sa che la speranza la vince sempre, sull'esperienza. Dum spiro - dicevano gli antichi - spero. E quando non respireremo più, spireremo. Ma non spariremo. E la psiche sarà tutt'uno con lo spirito. E con il corpo.


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L'ennesima conferma dell'assoluta insignificanza dei fatti, in assenza di una teoria a priori che ne escluda - ad insindacabile arbitrio del teorico interessato - più d'uno, è data dall'aggettivo «pantomorfo» ("multiforme", anzi "onniforme", in sanscrito sarvamaya), tradizionale attributo divino. Pantomorfo - cioè proteiforme - si manifesta infatti l'Uno, ove Lo si consideri fisicamente, cioè dal punto di vista del creato, quindi della manifestazione, anziché metafisicamente. Non potrebbe darsi altrimenti, visto che ogni cosa creata, anche la più repellente, anche l'infima, promana da Lui, ovvero da Lei (essendo duplice tutto il manifesto e nec utrum, neti neti, né maschio né femmina, insomma neutro l'Immanifesto).
Ergo, Dio ci appare sotto tutte le apparenze possibili, nessuna esclusa (con preferenza - assicurano insistentemente tutti i testi sacri - per le più modeste). D'altra parte, se Dio è di genere maschile, Sua madre è di genere femminile.
Torniamo alla proteiformità. Teste Esiodo, Proteo (quasi pro Theoù) è figlio d'acqua, marina (Oceano) e fluviale (Teti). Padre e madre sono tra loro, oltre che marito e moglie, fratello e sorella, a loro volta generati da Urano e Gea: acqua che scende dai lombi del cielo, acqua che sale dalle viscere della terra. Acqua dolce, acqua salata; acque superiori, acque inferiori. Come Venere, Proteo è pertanto "nato dalle acque" (apsujâ, in sanscrito) e "vive nell'acqua" (apsušad, sempre in sanscrito). PS, ancora.