"Quando mi definisco «peccatore» - dichiara L. Alfini, in una confessione che facciamo nostra - non lo faccio per modo di dire. Sono infatti un peccatore incallito, pervicace e testardo, oltre che subdolo. Subdolo, sì, perché la distinzione tra il peccato che nuoce al prossimo (superbia, ira, avarizia e invidia) e quello -
del quale mi so colpevole - che nuoce solo a me stesso (gola, tristezza e lussuria) è fasulla".
Fasulla perché, anche tu essendo un tuo prossimo [da amare come te stesso], tra te ed il tuo prossimo non c'è differenza. Ed inoltre perché, a ben vedere, gli ultimi tre vizii di cui sopra sono autolesionistici solo in parte, a) la gola comprendendo anche l'ubriachezza e la litigiosità derivantene, b) la tristezza comportando l'accidia, ovvero inerzia, torpore, ignavia e via dicendo, fino al suicidio,* e c) la lussuria, quando non solitaria, coinvolgendo comunque un partner [consenziente].**
E poi perché il tuo corpo non è tuo, ma Suo, cioè datoti - per Suo imperscrutabile volere, per necessità, per tuo volere prenatale - in affitto. Per giunta, oltre all'inquilino, il tuo corpo ospita, in un cantuccio, anche il Proprietario. Ciò sopprime ogni possibilità di autarchia del peccato o del vizio.


* Che il suicidio sia una conseguenza della tristezza (malinconia o depressione che dir si voglia, in quest'ultimo caso utile ad arricchire l'emulo odierno del prete, ossia lo psicologo), è palese. Sembra meno palese, invece, il collegamento della tristezza alla gola o, meglio, agli effetti postumi dell'abbuffata e della sbronza.
Un discorso a parte meriterebbe il suicidio eroico, attuato con lucidità olimpica [e con disprezzo del dolore] al solo fine di non compromettere la propria dignità. Ma la prospettiva cristiana non lo contempla, a meno che non lo si voglia omologare al martirio.

** Circa la lussuria, oggi detta «erotismo», nulla possiamo aggiungere a quanto detto da san Paolo nella Prima lettera ai corinzii. È una lettura che mette sempre a disagio, soprattutto (per restare in tema) nei passi VI, 9-10 e 16-19, nonché VII, 3-5 e 10-11. Disagio, quando non soqquadro ("ai non sposati - VII, 8 - e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io" e "il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi - ibidem, 29-31 - quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero, coloro che piangono come se non piangessero, quelli che godono come se non godessero, quelli che posseggono come se non possedessero e quelli che usano del mondo come se non ne usassero").