Oggi vogliamo affrontare il tema del dispendio, inteso sia come sperpero (o spreco) che come dovere. In quest'ultima accezione, il dispendio copre tutta l'area semantica del sacrificio, da quello dell'offerta rituale (che, per chi non crede nel sovrumano, rappresenta un autentico spreco) a quello della rinuncia, obbligata o no che sia. Un esempio classico di dispendio è dato dal cuore, la cui attività senza risparmio giunge fino all'estremo - appunto - sacrificio e le cui analogie col fuoco e col Sole chiariscono ulteriormente le valenze del termine «dispendio», vuoi energetico o vuoi monetario, comunque di risorse.*

Le difficoltà cominciano quando si vuol precisare meglio la natura di tali risorse: materiali o spirituali? Pur essendo vero che il possesso di qualcosa da far oggetto di dispendio è condizione imprescindibile del dispendio stesso, è altrettanto vero che la generosità non sempre appare caratteristica del ricco. D'altro canto, l'adagio popolare per cui «ogni lasciata è persa» sottintende la necessità di una certa levatura morale, ovvero di un'aristocrazia interiore, per potersi imporre la perdita in questione.

* Parlare di fuoco e di Sole, quindi di luce, significa parlare di maschio, per esempio del maschio della pecora, cioè del montone emblematizzato nel segno di fuoco dell'Ariete, segno di luminosa esaltazione solare. Il montone, infatti, come vuole il nome, nell'adempimento delle sue funzioni non si risparmia davvero. Ciò peraltro non limita il concetto di dispendio alla sola mascolinità ed al solo fuoco: si pensi al perpetuo sgorgare d'una sorgente o ad un'inarrestabile perdita d'acqua. E che dire dello spirito di sacrificio d'una madre (matar, in pali; ma, in sanscrito, madre è ambâ e acqua - oltre ad ap - è ambash, o ambu)? E della volontaria rinuncia d'una monaca?
Il discorso è insieme semplice, cioè "sine plica", ed ingarbugliato, se non complicato. Dipende dall'interlocutore, naturalmente. Tuttavia, contando sull'inesauribile ricchezza (atta al dispendio più sfrenato) del simbolo, si può ancora dire che il Sole corrisponde al cuore e la Luna allo stomaco, organi compresenti in ogni essere umano. Infatti vi ritroviamo, nell'ordine, convessità e concavità, eroico sperpero ed utilizzo accurato, primarietà [di una funzione elementare, ma indispensabile] e secondarietà, nonché, last but not least, amore come cuore ed egoismo come pancia (non a caso il celebre apologo di Menenio Agrippa paragonando allo stomaco i rivoltosi dell'Aventino).

Allora, il dispendio è materiale o spirituale? Simbolicamente, è maschile o femminile? Luminoso od oscuro? Pertiene al ricco o al povero? È sintomo di forza o di debolezza?
Cominciamo col dire che, come una femmina può avere valori oroscopici arietini (e virtualmente maschili), così il povero deve pur possedere qualcosa, foss'anche una pagnotta ammuffita, per poterla dividere. Aggiungiamo che la forza rivolta verso l'esterno, cioè l'aggressività, non sempre comporta un'analoga forza [di volontà] rivolta verso l'interno: l'esempio proposto poc'anzi, della madre e della monaca, illustra abbastanza bene l'ambivalenza del concetto di forza. Al riguardo, si può addirittura affermare - in maniera schiettamente taoista - che la forza esteriore è la debolezza interiore, e viceversa.
Comunque sia, quando si parla di archetipi bisogna tener presente che l'individuo ne incarna sempre più d'uno ed ognuno approssimativamente. Non solo perché una realtà oggettiva non esiste (un ricco potendo considerarsi povero, ad esempio, e viceversa), ma anche e soprattutto perché un archetipo lo si può impersonare solo in rapporto alle circostanze, dimodoché alla fine si rivelano astrazioni concettuali sia il polinomio "fuoco-Sole-maschio-forza" che il suo opposto "acqua-Luna-femmina-debolezza".
Tuttavia un'astrazione concettuale non è inutile: come la simbologia zodiacale raffigura un'immensa quantità di archetipi (Idee platoniche o Nomi di Allah, secondo le preferenze), tutti compresenti - in misura ovviamente variabile - nel singolo individuo, così ognuno di noi la concretizza di volta in volta, questa astrazione per cui, ad esempio, l'acqua rinfresca ed il fuoco riscalda, la debolezza cede e la forza incede (questa facendosi convessa e quella concava, questa maschile e quella femminile, ecc.). Astrazioni, certo, se si pensa all'acqua bollente ed alla debolezza del judo, ma non inutili, come dicevamo, perché può rivelarsi illuminante considerare «maschili» l'acqua bollente e la debolezza del judo, nonché «femminili» la luce fredda e la forza della moderna tecnologia, soprattutto bellica.
Così, l'oscurità della caverna d'un eremita, che evoca lunari valori femminili di riservatezza, è in realtà luminoso autocontrollo. Al contrario, le sfarzose "luci della ribalta", apparentemente mascoline e solari, non sono che sottomesso [agli umori del pubblico] esibizionismo. Da questo punto di vista, speculare e simmetrico come il Tao a cui si accennava sopra, ciò che si attribuisce all'esterno - o all'oggetto - è il contrario di ciò che si attribuisce all'interno, o al soggetto. In termini cinetici, l'attrazione è centripeta - al suo centro - per il soggetto attraente, ma centrifuga - dal suo centro - per l'oggetto attratto. Viceversa, l'espulsione (o la repulsione) è centrifuga per il soggetto espellente, ma centripeta (se non nostalgica, in termini affettivi) per l'oggetto espulso.
Abbiamo divagato. Ma il farlo è parso necessario, per evidenziare almeno in parte l'incredibile complessità del simbolismo tradizionale, in questo caso relativo al Sole ed alla Luna (con l'iniziale maiuscola, come s'usa in astrologia).
Torniamo al dispendio, il cui duplice significato iniziale (sperpero e sacrificio) si è pertanto intrecciato: da un lato abbiamo il sacrificio come fuoco dell'offerta votiva e dall'altro lo sperpero come acqua, implicita nel verbo «scialacquare»; da un lato abbiamo il sacrificio come Luna di privazione [di luce autonoma], ovvero di rinuncia [ad un'orgogliosa inamovibilità] e dall'altro lo sperpero come Sole.
Torniamo al dispendio, e perciò alla povertà, metaforica nel caso del "povero di spirito" (povertà che sarebbe più pertinente definire «essenzialità») e letterale nel caso del ricco che abbia dilapidato il suo patrimonio. A quest'ultimo proposito val la pena di ricordare l'atteggiamento «positivista», o «verista» (perché fatto proprio, ad esempio, anche da un Verga), secondo il quale l'idea dello spreco nascerebbe, per pochi, solo dall'estrema ricchezza e dall'ininfluenza delle necessità materiali. Tale atteggiamento è quello tipicamente moderno del deprezzare, svalutare, minimizzare, abbassare e, in una parola, materializzare (in opposizione a spiritualizzare). Si tratta di un atteggiamento contraddittorio in modo perverso, perché da un lato l'esperienza insegna, come già detto, il frequentemente esatto contrario (il bel gesto del povero - lo «spreco» - opponendosi alla tirchieria del ricco) e, dall'altro, la storia degli ultimi tre secoli indica chiaramente che, a parlare "con la voce degli oppressi", sono stati sempre e solo gli oppressori (a partire dal nobile De Robespierre). Si potrebbe dar ragione a Verga su un sol punto (al quale peraltro un verista-realista-populista si ribellerebbe), quello relativo alla necessità, quale presupposto per il dispendio, di una certa "superabundantia cordis", di una esuberanza spirituale cioè, anziché materiale.
Questo accenno alla fede ci riconduce dal dispendio come "lusso" (o concessione, anche a se stesso, del superfluo o addirittura dell'inutile) al dispendio come "sacrificio" (o privazione, solo a se stesso, dell'utile o addirittura dell'indispensabile).
Ma l'opposizione, interpretata simbolicamente, come fa A. Ermini nel passaggio seguente, è più apparente che reale.* «Quell'eroe silenzioso che allora emigrava per procacciare un sempre scarso pane a moglie e figli è stato accusato di essere all'origine di ogni male, eppure, nonostante le ferite, gli schiaffi, gli acciacchi, in gran parte è ancora lì a tirare la carretta [...]. Diceva Ezra Pound (ma se la memoria mi inganna è vero lo stesso) che la donna è molto più brava nelle cose pratiche, in quelle utili appunto, mentre all'uomo si addicono le imprese temerarie, folli, dispendiose di risorse e ricchezze, ma creatrici di vita, materiale e psichica. [...] Sarà per la conformazione biologica o per altro, ma è un fatto che la donna conserva la vita, l'uomo la inizia e le dà forma, e la distrugge pure. È per questo che sono necessari entrambi i principi, e che siano in sostanziale equilibrio, perché si può conservare solo ciò che è stato creato e si può 'dispendere' solo ciò che è stato conservato». L'allusione all'anatomia maschile e femminile, concava questa - come s'è accennato sopra - e convessa quella, è rivelatrice, perché l'«eccedenza» maschile raffigura simbolicamente quel quid esuberante su cui si basa l'idea stessa del dono, l'idea cioè di "uscire da se stessi, dare - come ben spiega M. Mauss - liberamente e al tempo stesso per obbligo". Ora, se parlare di mascolinità e di femminilità significa, in termini tradizionali, ripetiamo, parlare del Sole e della Luna, non v'è chi non veda a) quanto il Sole sia sempre dipinto come convesso e, la Luna, sempre come concava; b) quanto il dispendio solare di luce e di calore corrisponda al profitto lunare e sublunare (ovvero terrestre) della stessa luce e dello stesso calore; ed infine c) quanto sia letteralmente «splendido» e metaforicamente disinteressato il Sole e quanto invece, necessariamente, sparagnino ed interessato chi del Sole usufruisce.


* Più apparente che reale, come dicevamo, perché il sostrato indispensabile al dispendio (energetico e no, di energie fisiche o psichiche, di risorse economiche o ambientali quali, poniamo, quelle idriche d'una fontana sempre zampillante o d'una sorgente mai del tutto imbottigliata) è una certa carenza di oculatezza. Vogliamo dire che il calcolo (prometeico) dell'avaro si pone agli antipodi dell'irriflessività (epimeteica) del prodigo. E vorremmo tuttavia aggiungere che il calcolo dell'avaro è un calcolo miope, la vera lungimiranza essendo quella di chi accumula nel deposito celeste, "dove il tarlo non corrode e la tignola non distrugge"; in questo senso l'accettazione esistenziale di Epimeteo è dettata dalla fede, come il rifiuto esistenziale di Prometeo (che cerca di farsi un'altra vita, migliore della precedente) è dettato dalla mancanza di fede. Non a caso il furto del fuoco viene da quest'ultimo (che sta al fratello come il prologo sta all'epilogo, Prometeo pensando prima ed Epimeteo pensando dopo, cioè non pensando affatto, se è vero che "del senno di poi, ecc.") perpetrato a danno degli dei ed è, da questi ultimi, punito col «rodimento di fegato» del pianto e dello stridor di denti. Ma si tratta sempre di opposizioni relative, come quella classica tra la formica e la cicala, delle quali si può alternativamente dir bene e dir male, o quella romantica tra Amore e Morte. Tra l'altro, il binomio «amore-morte» potrebbe porsi a cifra emblematica dello stesso dispendio solare e cardiaco: come si «brucia» per amore, quindi a favore altrui, ci si brucia, ci si consuma cioè a proprio danno. È questo l'eroismo, elementare (primario, perfino coatto, se si vuole), del sacrificio. Sicché, come non c'è amore senza dono (di sé), né c'è dono senza amore, così non c'è dono senza sacrificio (parziale o totale, agli esseri umani o agli dei, in quest'ultimo caso lo «spreco» del sacrificio significando letteralmente "mandare in fumo"). Essendo il sacrificio un "sacrum facere", peraltro, non c'è sacrificio senza fede. Ergo, non c'è amore senza fede, né c'è fede senza amore.

oOo

Detto ancora una volta che non è lecito applicare tutte le sfaccettature di un solo simbolo ai molteplici simboleggiati (o, se si preferisce, del significante ai significati), tant'è che, in ambito astrologico, il maschio e la femmina hanno entrambi Sole e Luna nel rispettivo oroscopo, si può ribadire che le caratteristiche solari di abnegazione, disinteresse e sacrificio sono appannaggio di innumerevoli mogli e madri (più del terzo mondo, in verità, che del primo) e che, in ogni caso, non sono certo tipiche del maschio moderno. Ma, evidentemente, la colpa è soprattutto dei tempi. Si potrebbero aggiungere, ma non è questo il luogo, riferimenti storici all'ascesa del terzo stato occidentale, ovvero della terza casta orientale, la cui natura borghese-mercantile è quanto di più alieno si possa immaginare dallo spirito eminentemente sacrificale della seconda (guerriera e regale) e della prima (sacerdotale o clericale). E sorvoliamo l'ardua questione relativa alle inopinate conseguenze odierne della visione cristiana del mondo.* Analogamente dobbiamo tralasciare la lucida analisi, sempre di A. Ermini, sull'artificializzazione indotta dalla modernità («il processo di "emancipazione" giunto alle sue conseguenze logiche estreme svela oggi con chiarezza la forzatura ideologica di cui è frutto, e la sua natura di sradicamento»).** Dobbiamo tralasciare, si diceva, perché il tema presente, quello del dono/dispendio, è già sconfinato (sebbene l'artificializzazione, in quanto opposta alla spontaneità, potrebbe rientrare in più d'una delle alternative abbozzate fin qui, non ultima quella tra Prometeo ed Epimeteo e certamente non esclusa quella proposta dall'Ermini medesimo, che vi vede sottesa l'antitesi tra utilitarismo e disinteresse).

* Chesterton parlava del "dilagare delle virtù cristiane che sembrano come folli". Se, con ciò, si vuole alludere a quell'istituzionalizzazione della figura del prossimo [a cui far amare la stessa civiltà con cui l'uomo moderno ama se stesso], come descritta da Illich, non si può non essere d'accordo. Ma l'istituzionalizzazione-reificazione-artificializzazione del prossimo (e perciò del dono) è imputabile alla modernità, più che al cristianesimo. In qual misura, poi, la modernità sia conseguente al cristianesimo o viceversa, nello stesso senso in cui una medicina è conseguente ad una malattia, è argomento che richiederebbe uno studio [ed uno studioso] a parte. Ancora circa l'istituzionalizzazione, che a noi pare null'altro che «leviatanizzazione», di nuovo A. Ermini, affiancando S. Borselli col bel neologismo di quest'ultimo sul «welfare cristiano», dice che essa "spinge il donatario ad autoeleggersi prossimo del donante-istituzione e rivendicare il dono come diritto". È esattamente così. Tuttavia ci si può chiedere se la metastasi dello Stato in Leviatano non fosse già inerente al concetto stesso di Stato. Al riguardo, vengono in mente le immortali parole del Tao te king, laddove si afferma che il governante deve governare "come se friggesse pesciolini", intervenendo cioè il meno possibile (l'optimum essendo il non intervenire affatto, cosa ormai impossibile, perché, "scomparsa la semplicità, apparve il valore; scomparso il valore, apparve la bontà; scomparsa la bontà, apparve la morale; scomparsa la morale, apparve la legge"; legge, s'intende, umana, sempre e solo troppo umana).

** A noi pare che il processo di sradicamento, documentato da Ermini con citazioni da Illich, Tocqueville, Marx ed Heidegger, sia inscrivibile nell'ormai plurisecolare rivolta contro la voce del sangue, voce che dal padre della famiglia tradizionale, attraverso il padrone-patrono della corporazione medioevale, arriva all'eterno Dio Padre. È l'ennesima implicazione, certamente non sviluppabile qui, del concetto di «dono» (per cui non c'è dono senza [un legame di] sangue, lo stesso sangue astrologicamente connesso al Sole, al cuore ed all'Ariete-Agnus Dei).

Riconduciamoci nell'ambito del dispendio. Come non condividere l'affermazione delle sue "caratteristiche falliche" («pensiamo soltanto - argomenta A. Ermini - alle implicazioni psichiche del fatto che, di migliaia o milioni di spermatozoi, solo uno feconda e tutti gli altri muoiono, vengono distrutti. In questo senso il dono fallico è "consumazione", o distruzione fine a se stessa»).* Come non condividerla, magari accodandole le osservazioni relative alla mascolinità del Sole, del padre e, giocoforza, di Dio? Ciò non pertanto, sarà pur vero che il fuco morituro è di genere maschile, sarà altresì vero che l'agnello da abbacchiare è l'alter ego del montone, sarà infine vero che sembra peculiarità del solo maschio quell'«uscire da sé» che la poetica tradizionale simboleggia nella pioggia (emessa dal cielo a fecondare la terra); ciò non pertanto, dicevamo, anche la femmina sperimenta (per amore, e solo per amore) quell'«uscire da sé» che è il parto. Ora, se innegabilmente il seme è maschile, ha senso chiedersi chi, nell'ottica del dono-sacrificio, sia da privilegiare? Anche la terra si «consuma» (si usura, si impoverisce), tant'è che prima o poi occorre un po' di letame (laetamen, in latino) che la allieti, concimandola.

* Sulla contrapposizione tra «consumo» e «consumazione», avanzata da Baudrillard, criticata da Borselli (probabilmente anche a causa dell'usura semantica dei due termini, di fatto sinonimi) ed accettata da Ermini, ci si potrebbe forse trovare in maggior accordo intendendo «consumazione» come "consunzione" e, pertanto, considerando attivo il consumo e passiva (o, meglio, riflessiva) la consunzione. Ma la differenza tra questa e quello è comunque larvata, se si pensa al già citato esempio del Sole. E ne è conferma ulteriore quanto sostiene ancora A. Ermini a proposito di Homo consumans, "l'ultimo libro del teorico della società liquida, Z. Bauman": «[...] ciò che univa la famiglia era la collaborazione in un unico processo produttivo di cui la riunione serale per la cena condivisa era l’ultimo atto. L’invenzione del fast food, e pratiche connesse, non solo segna la fine del momento del consumo condiviso, ma "indica anche l’irrilevanza dei legami umani nella società dei consumi della modernità liquida"». Che il cliente-consumatore, insomma, pagata la propria consumazione [in piedi o al tavolo], finisca col consumare se stesso, ci sembra più di un gioco di parole. Da un altro punto di vista, che dire quando ancora S. Borselli ribadisce la sua «perplessità sulla dicotomia "consumo/consumazione"», ventilandone la collocazione «all'interno di quella assurda ricerca del "puro atto eversivo" che negli anni successivi un ormai opacizzato Baudrillard ha voluto leggere negli ambiti più disparati»? È incontestabilmente vero da un lato, se si pensa al gesto gratuito dell'iconoclasta od alla violenza vuoi omicida, vuoi suicida del teppista-adepto-invasato-terrorista. Ma ci pare pur vero che rientri nella metafora del «dispendio» anche lo "scarico di energia libidica - per citare di nuovo Borselli - indirizzata, anziché verso una squadra di calcio, verso una bandiera". Insomma, quando l'«atto eversivo» viene approvato socialmente (dalla «società», cioè, nella quale l'eversore si riconosce), quale metro di valutazione si deve adottare? Quello della società che ne è vittima (e ne conta il numero di vittime) o quello della società killer? Sembra l'ennesimo tema indefinitamente, ed autonomamente, sviluppabile che «fuoriesce» (come vuole il dispendio stesso) dal dispendio.
Ancora, ed infine, sulla «fuoriuscita» di chi è fuori di sé per ebbrezza da stupefacenti o da fede (l'una causa dovendosi palesemente distinguere dall'altra), c'è pur da dire che il suicida, kamikaze scintoista o feddayn musulmano che sia, si toglie solo questa vita e non la vita tout court. Quanto meno, così crede, per una fede diversa dalla nostra, ma in ogni caso per fede.

Ancora sulla mascolinità virtuale del dispendio, non si può ignorare la stessa anatomia muliebre, di cui s'è sottolineata la concavità ricettiva [del dono maschile] e passiva,* che si ribalta nel suo contrario quando si pensa al suo «consumare» il partner. Del resto, riandando a Madre Terra, ogni contadino sa che quest'ultima «consuma la zappa». Infine, per attenerci alle allegorie rurali (e perciò naturali, spontanee e «dispendiose»), è proprio della natura procreare molti affinché sopravvivano pochi. Evitando di addentrarsi ulteriormente nel ginepraio della questione femminile,** sicché, preferiamo restare nel quadro delle attribuzioni simboliche tradizionali, quadro il cui pregio - come s'è detto - consiste nel collocare il singolo esistente (essere umano, animale, vegetale o minerale che sia) in una cosmologia universale l'inizio e la fine della quale pertengono all'Uno (il termine «Uni-verso» non indicando altro). Tale visione cosmologica, per noi moderni irrimediabilmente persa, permetteva ad esempio di non opporre meccanicamente (ed artificialmente) maschio a femmina o servo a padrone, ma di apprezzarne sia la compresenza nel singolo che, secondo i casi, l'assunzione dell'uno o dell'altro ruolo (la madre essendo, in qualche modo, «maschile» nei confronti del figlio da prendere a sberle e, viceversa, ancora a mo' di esempio, l'anziano subalterno maschio essendo virtualmente «femminile» rispetto alla giovane donna che gli è superiore in grado).

* Non sarà inutile ricordare che, in latino, molere mulierem sta per "macinare [come con una mola] la donna/moglie".

** Il che non significa chiudere un occhio sulle nefandezze perpetrate dal femminismo, che è in realtà pura e semplice sterilizzazione della femmina singola prima e della società tutta poi. Grimaldello diabolico nei confronti della famiglia (cardine di ogni struttura comunitaria [non monastica]), la rivolta di colei che fino ad ieri era la donna-domina ha comportato, in progressione geometrica, la contraccezione, il divorzio, l'aborto e l'omosessualità. Anche a non voler parlare della cosiddetta «bioingegneria» (e tacendo sull'eutanasia), l'uomo moderno sembra ormai una specie in via di autoestinzione. E la cosa, tutto sommato, potrebbe non rappresentare un gran motivo di cruccio. Tra l'altro, s'è fatto cenno alla sterilizzazione. Come non vedere che l'artificializzazione (sulla quale, pure, non si voleva indugiare) ne è un sinonimo? Come non vedere che, se la vitalità (muscolare, cerebrale o anche solo cardiaca) è forse l'unico presupposto indiscutibile del dispendio, l'assenza di vitalità contrassegna l'utile, il tornaconto, l'interesse, il meccanico, lo sterile e, in una parola, il funebre? D'altronde, come non vedere che la medicina, ad esempio, è una sorta di artificializzazione? Oggi questa affermazione può sembrar ovvia, tra un trapianto ed una protesi, ma qualche millennio fa solo il mito era in grado di farci sospettare, in Prometeo, un futuro scienziato pazzo. Paradossalmente, sicché, se artificializzazione e sterilizzazione coincidono, lo strombazzato abbassamento della mortalità infantile è, nell'ordine, ýbris prometeica, interferenza in un processo naturale (spontaneo e «dispendioso») e, pertanto, necrofilia.

Cerchiamo adesso, per quanto è nelle nostre possibilità, di evidenziare qualche altro aspetto del binomio "Sole-Luna", venerabile binomio tradizionale (i cui colori sono non a caso quelli della bandiera della Santa Sede) che anticipa le coppie di opposti di cui sotto, pazientemente elencate da S. Borselli. Cominciamo dalle caratteristiche planetarie (solari a sinistra e lunari a destra), caratteristiche che peraltro, come è peculiarità di ogni simbolo tradizionale, non si limitano mai alla sola lettera.
luce propria luce riflessa
luminosità oscurità
immobilità/staticità * rivoluzione/cambiamento/progresso **
chiarezza/semplicità equivocità/complicità (zone d'ombra)
certezza dubbio
combustione/continuità discontinuità (termica e no)

* Non ci si stupisca. La centralità del Sole [e la sua conseguente immobilità] è un dato tradizionale onnipresente, dato esoterico (ovvero di nessuna utilità pratica) che un po' alla volta cominciò ad essere divulgato (ad esempio da Ipparco, nel II secolo a. C.), provocando più danni che vantaggi. Si potrebbe dire altrettanto di Prometeo, l'analogo cinese del quale fu colui che, qualche millennio avanti Cristo, insegnò ai nostri progenitori l'uso di cibi alternativi alle ghiande ed alle radici: solo qualche millennio fa, pertanto, decollava il progresso (dopo "decine e decine di migliaia d'anni - precisa il Chuang Tze - di vita allo stato brado").

** Di nuovo, non ci si stupisca. L'allegoria dell'erraticità della Luna è stata sempre impiegata a giustificazione del divieto di cambiare alcunché, delle antiche usanze.

L'ultima opposizione precedente conduce, dall'aspetto planetario del simbolo, a quello zodiacale, utile a correlare l'ariete-montone-agnello-pecora all'immediatezza della luce solare e la vacca-toro-vitello alla ruminazione del ragionamento su luce riflessa. Fuor di metafora, come gergalmente «ruminare» sta per "pensarci su", così la riflessione attiene sia alla ragione che allo specchio. Con questo rapido accenno si vuol introdurre un'ulteriore accezione dei simboli in questione, cioè il rapporto tra l'intelletto e la ragione, tra l'immediatezza folgorante del primo (l'«intelletto d'Amore» dantesco) ed il progressivo discorrere della seconda, tra la sintesi e l'analisi, tra la certezza dell'intueor (del "vedere in - o tramite - Dio") e le congetture, le ipotesi e le fantasie del mondo lunare.* Come si vede, la ragione "che tutto valuta con numero, peso e misura" è un'arma femminilmente a doppio taglio (non a caso la «misura-mensura» unificando "mente-mens" e "mese-mensis",** analogamente a quanto accade con "metro-metron" e "mater-meter").

* Tuttora chi fantastica è detto «vivere sulla luna». Così i fantasmi, come i licantropi, sono legati alla Luna, pianeta che tradizionalmente guasta e corrompe. Del resto, come l'oro-Sole è inossidabile, così l'argento lunare si macchia e si deteriora. Un'ultima associazione, che vuole l'intelletto facoltà spirituale e la ragione facoltà dell'anima, conferma la relativa inaffidabilità di quest'ultima (tradizionalmente tripartita in razionale, sensitiva e concupiscibile), qualora non sottomessa allo spirito.

** La più antica forma di misurazione del tempo è infatti lunare-mensile, lo stesso «menstruus» derivando dalle mensilità della donna. Quando si dice che la tanto decantata "dea ragione" genera mostri, in definitiva, si capovolge la forma, ma non la sostanza, dell'espressione «ragionare con l'utero».

Ora, essendo razionale anche la macchina, si dovrà nuovamente contrapporre la meccanica (l'artificio tecnologico, l'automazione) all'uso dei soli accessorii di cui ci ha dotato il buon Dio,* nuovamente scindendo, in tal modo, progresso e femminilità da stasi (che non significa «regresso») e mascolinità. D'altro canto va precisato che tutte le dicotomie suddette, esistendo in natura, sono perfettamente fisiologiche. Vanno però, sempre fisiologicamente, gerarchicizzate, interiormente (ben pochi di noi privilegiando, ad esempio, lo stomaco lunare rispetto al cuore solare; ma troppi di noi sottomettendo l'intelletto alla ragione e lo spirito - chi è Costui? - all'anima) ed esteriormente (una per tutte: capofamiglia e marito debbono coincidere). La rivoluzione infatti (termine astronomico che, sintomaticamente, riguarda tutti i pianeti, tranne il Sole), consiste nella sovversione gerarchica.

* Al riguardo ci sembra illuminante (in modo davvero solare) il seguente apologo, tratto ancora dal classico taoista Chuang Tze. «Confucio vide un contadino intento a lavorare nell’orto. Quell’uomo scendeva, lungo una galleria, fino al pozzo e ne usciva con una giara colma d’acqua, che vuotava nei canaletti tra un filare e l’altro. Confucio, giudicando tale lavoro faticoso e poco producente, gli disse: "Se aveste una macchina capace di irrigare cento filari al giorno, ve ne servireste?". "Come è fatta?", chiese il contadino. "È una macchina di legno cavo, pesante dietro - rispose Confucio - e leggera avanti, con la quale si tira su l’acqua come si potrebbe far con la mano, ma così velocemente che l’acqua trabocca dal secchio. Questa macchina è detta 'pozzo a bilanciere'". Il contadino si adirò, impallidì e sibilò: "Chi si serve di macchine usa meccanismi e la sua anima si meccanizza. Chi ha l’anima meccanizzata ha perso la purezza dell’innocenza originaria e non sa più che cosa sia la pace. Non ignoro i pregi di questa macchina, ma non voglio servirmene".

Ciò detto, L’illusione della modernità di Stefano Borselli conferma e completa il precedente abbozzo di simbolismo tradizionale. Dalle due tabelle di questo saggio traiamo le opposizioni seguenti, che ci sembrano adattarsi a meraviglia all'antitesi "Sole-Luna". Antitesi, abbiam detto ma, al tempo stesso e secondo i vicendevoli casi, complementarietà (come quella del maschio e della femmina).

dipendenza da persone dipendenza da cose
nulle terre sans seigneur l’argent n’a pas de maître
comunità società
organicismo meccanicismo
dono vendita/acquisto
obbligo diritto
gerarchia egualitarismo *
Epimeteo Prometeo
disinteresse interesse
rispetto politesse
ingenuità furbizia
differenziazione indifferenziazione **
intelletto sentimento
coraggio viltà (paura)

* Ma questa antitesi andrebbe letta in termini di "gerarchia di sangue - gerarchia di denaro".

** Anche per questa antitesi varrebbe quanto detto per la precedente, se non fosse per il suo implicare che una differenziazione gerarchica di sangue (imperdibile ed irreversibile per chi la possiede ed inacquistabile da chi non la possiede) è l'unica differenziazione autentica, quella monetaria essendo, appunto, vendibile ed acquistabile (oltre che - Prometeo docet - trafugabile).

L'ultima antitesi testé citata non deve irritare alcuna lettrice, perché il coraggio femminile può ben superare quello maschile. Resta il fatto per cui il coraggio è simbolicamente maschile, sicché la femmina che vince i proprii istinti, in questo caso la paura, si mascolinizza tanto quanto si femminilizza il maschio che cede ai proprii istinti. Alla stessa stregua l'antitesi precedente, quella tra intelletto e sentimento (nulla essendo sentimentale, e perciò soggetta all'errore, quanto la cosiddetta "mente fredda"),* prescinde dall'anatomia. Ma le antitesi (e le complementarietà) sussistono, come quelle tra la maschile Sparta (città senza mura, ovvero tecnologicamente poco avanzata, con donne guerriere e madri che, ad un figlio vivo "sotto lo scudo", preferivano quello morto "sullo scudo") e la femminile Atene. Che poi abbia vinto quest'ultima, non è cosa che possa stupire. Ma cediamo la parola a S. Borselli. «È spesso usata la metafora della nostra civiltà come forma tumorale. Sono forti infatti le analogie: parassitismo (si nutre delle forme vive precedenti), sviluppo impazzito, indifferenziazione. Non si deve dimenticare che il tumore non è autonomo, non è un organismo, ma la patologia di un organismo. Non sarà mai che un uomo cambi il funzionamento tipico dei suoi organi, apparati, sistemi. Finché un malato di cancro vive, ancora sono presenti tutte le funzioni essenziali (anche se sempre con maggiore difficoltà). Vivrà male, malissimo, tra i tormenti, ma se e fintanto che quelle funzioni persistono. [...] Come spiega meglio Bernanos: "L’eccesso di zucchero è una conseguenza della malattia funzionale del fegato. L’eccesso di macchinismo concentrazionario e totalitario, con tutti i mali che esso genera, è conseguenza di una malattia funzionale della civiltà umana, e non è colpa mia se si pretende di dare a questo diabete meccanico il nome stesso di civiltà, vale a dire il nome stesso di ciò che esso sta per distruggere"». Inappuntabile. Ci si potrebbe chiedere, semmai, fino a che punto la nostra civiltà meccanica sia una degenerazione dipendente da una patologia ipertrofica o da un fisiologico, ancorché deprecabile, invecchiamento. L'enigma della Sfinge, su ciò, potrebbe dirla lunga (la terza gamba del vecchio, ossia il bastone, potendo alludere alla tecnologia).

* A proposito di freddezza, che sembrerebbe logico attribuire alla Luna, la tradizione assegna al Sole la qualità del caldo secco e, alla Luna, quella del caldo umido (esemplificate rispettivamente nel calore derivante dal camino ed in quello derivante da un contenitore di acqua calda). La precisazione può non esser priva di interesse, se si pensa al percorso simbolico "umidità-intenerimento-compassione-amore", percorso che, per così dire, recupera la componente sacrificale solare in chiave lunare (femminile e, da un certo punto di vista, caritatevolmente cristiana).

Insomma, modernità come affezione reversibile o come senescenza? Ardua questione, se è vero che la Luna simboleggia sia la donna che la vecchiaia.* Lasciamo rispondere ancora una volta A. Ermini: "Non si tratta più di dividersi fra iniziativa privata o pubblica, sul far prevalere l’uguaglianza o le libertà economiche, ma di decidere se debba esistere o non esistere un limite nei processi di fabbricazione artificiale del vivente". Decidere? E chi può più decidere, ormai?

* In realtà il pianeta connesso alla vecchiaia è Saturno. Ma si diceva anche "Luna, il piccolo Saturno", quella percorrendo lo zodiaco in circa trenta giorni e, questo, in circa trent'anni.





Rileggendo quanto scritto finora, ci sembra di aver detto continuamente anche l'esatto contrario di tutto ciò che s'è detto. ll punto cruciale, infatti, è nell'alternativa tra l'accettazione incondizionata della vita così com'è (ivi compresa la povertà, la fame, la malattia e, in senso lato, il dolore) ed il tentativo di cambiarla. In termini fideistici, tra un «fiat voluntas Sua» assoluto ed indiscriminato, perché anche il ladro e l'assassino rubano ed uccidono col Suo permesso (e ne pagheranno il fio, certo, ma questo riguarda il ladro e l'assassino, non il derubato e l'ucciso) ed un intavolare trattative con l'Altissimo. In termini storico-geografici, tra il fatalismo orientale ormai quasi tramontato e l'interventismo occidentale moderno. In termini mitologici, tra lo stupido Epimeteo e lo scaltro Prometeo. In medio stat virtus, ovviamente. Ma è possibile attenersi indefinitamente ad un giusto mezzo che, nell'arco della giornata, è rappresentato dal mezzogiorno (che, nell'arco dell'esistenza, è rappresentato dalla mezza età; che, nell'arco della storia europea, è rappresentato dal medio evo)? Oportet ut scandala eveniant, quindi, perché ad ogni nascita deve seguire una morte. Guai, però, a colui per il quale lo scandalo avviene. È necessario che cali il buio della notte, in altre parole. Ma guai agli adoratori del buio.
L'infamia prometeica è tutta qui, nell'aver sostituito la nozione tradizionale del tempo ciclico (che permetteva agli antichi di non nutrire illusioni, circa l'ineluttabile deperimento di tutto il deperibile, ma anche di nutrire la certezza di un perenne ritorno) con quella del tempo lineare di un progresso (da dove? verso dove?) illimitato. Infamia moderna, menzogna satanica contrabbandata, infatti, a beneficio dell'umanità intera.*
Ladro e bugiardo, insomma, Prometeo. Ma colpevoli, chi più, chi meno, lo siamo tutti; tutti coloro, cioè, che non vogliamo rinunciare al fuoco, che non troviamo di nostro gusto radici e ghiande. Nessuna speranza? Nessuna, ma anche nessun timore. Solo certezze, ferme ed immutabili come il Sole, certezze alle quali si oppongono sia la speranza (il che permetterebbe una lettura parallela del mito di Pandora) che il timore. Portae inferi non praevalebunt, insomma. Ma il buio dovrà farsi ancor più fitto, nei prossimi giorni, anni o secoli che siano. Ad ognuno di noi compete solo il non lasciar spegnere la candela della consapevolezza dell'esistenza di un tempo migliore, passato e perciò futuro.


* Si obietterà che solo la vis polemica può negare i beneficii derivanti dalla «scoperta» del fuoco. Va bene. Ammettiamone i beneficii, allora, di questa e di tutte (nessuna esclusa, se non si vuol barare) le scoperte successive. L'ultima, sulla quale ci cade l'occhio mentre scriviamo queste righe, è la scoperta che da un ovulo fecondato, per errore, due volte, è nato un vispo ermafrodita.