Leonardo Fibonacci (1180-1250) era un grand'uomo. Si rinvia alle ben documentate pagine della Wikipedia, sul conto del medesimo e della serie che - per noi occidentali - porta il suo nome (oltre alle pagine dedicate alla sezione aurea ed alla fillotassi), cioè della sua scoperta. Per la verità il buon Leonardo non la spacciava né per scoperta, né per sua, questa vertiginosa successione di cifre in cui ogni termine - tranne il primo ed il secondo - è dato dalla somma dei due precedenti (1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, 987, 1597, 2584, 4181, 6765, 10946, 17711, 28657, 46368, 75025, 121393, ecc.) ed in cui il rapporto tra un termine ed il successivo, dopo qualche aggiustamento,* dalla settima posizione (ovvero, non contando l'1, dalla sesta) in poi si cristallizza nella sezione aurea.

* Aggiustamento dal nostro, miope e sfocato, punto di vista. Su ciò, viene in mente il terzo esagramma dell'I-king, La difficoltà iniziale: "Dopo che il Cielo e la Terra sono venuti all'esistenza, un numero incalcolabile di esseri è stato prodotto".

Vertiginosa, abbiamo detto. Ma appare ancor più vertiginosa se, invece di limitarci alla serie crescente (come si fa di solito, magari duplicando l'uno,* il che è sbagliato), prendiamo in esame anche quella decrescente.

* Nella pagina Sotto 'ncoppa si possono leggere alcuni versi ispirati all'argomento, preceduti da un'illustrazione riportante lo stesso errore. C'è pure chi questa serie la fa cominciare dallo 0, ma ancor più erroneamente, se non altro perché il metafisico Nulla non pertiene alla Creazione (cioè - da physis, "natura" - al fisico). A rigore neppure l'Uno, se visto a metafora divina, in quanto antecedente alla Creazione, vi pertiene. In termini orientali, l'Uno è Ishwara, cioè il Principio [nominabile] concepito qualitativamente (saguna) e perciò distintivamente (savishêsha), mentre lo Zero è Brahma,
il Principio [non nominabile], inconcepibile, inqualificato (nirguna) ed indistinto (nirvishêsha). Comunque sia, indicato matematicamente con la cifra zero (denominazione che sembra provenire dal veneziano zèvero, a sua volta storpiatura dello zephirum con cui il «figlio di Bonacci» aveva reso l'arabo sifr), il nulla non è, semplicemente. Certo, lo zero è utile sotto il profilo posizionale, se messo a sinistra (prima della virgola, cioè, come nel caso dei numeri inferiori ad uno), a destra o collocato in una colonna di tabella, ad indicare un'assenza e, di nuovo, è utile in termini finanziarii, per rappresentare il pareggio tra perdita e guadagno, se non l'assenza sia di questo che di quella. Solo in quest'ultima evenienza sembra lecito parlare di numeri negativi, ovvero «sottozero», intesi come debito (o come temperatura).

Torniamo alla doppia serie, l'una crescente verso il sempre più grande e l'altra calante (o decrescente) verso il sempre più piccolo,* vale a dire formata dai numeri inferiori all'unità. Così, l'illustrazione sottostante (che riporta anche la sezione aurea, ovvero il rapporto tra due segmenti, uno dei quali è lungo all'incirca 2/3 dell'altro), composta da celle quadrate di grandezza pari al numero corrispondente, oltre a mostrare una spirale nascente dalla prima casella, cioè dall'1 (qui non esplicitato, per la piccolezza della casella stessa), suggerisce la presenza di un'altra spirale - o, meglio, la continuità di una sola spirale - via via restringentesi. Ciò, nel minuscolo quadratino grigio posto sopra l'1, da suddividere a sua volta secondo la «serie di Fibonacci» calante dei numeri fratti (1/2, 1/3, 1/5, 1/8, ecc.), ovvero decimali (0,5 - 0,3 - 0,2 - 0,1, ecc.).


* Sempre più piccolo, fin quasi all'infinito, ma mai identificantesi nello zero. Analogamente, il numero periodico 0,99999, per quanto si voglia e si possa ripetere quel 9, non arriverà mai all'1 (sebbene a fini pratici, quindi prosaici, di fatto vi coincida). Mutatis mutandis, è il paradosso zenoniano di Achille e della tartaruga.

Torniamo ancora una volta alla doppia serie, l'una - come dicevamo - crescente verso il sempre più grande e l'altra calante (o decrescente) verso il sempre più piccolo, l'una avanzante in senso anti-orario e l'altra retrocedente in senso orario. La tabella sottostante ne propone un abbozzo, limitato ai primi gradini (quasi che la si pensi come una scala nel cui pianerottolo centrale sia situato l'1). Eccone di seguito la legenda.
Prima colonna: serie crescente.
Seconda colonna: risultato della divisione (o del rapporto) tra il numero della cella accanto a sinistra ed il sottostante (o successivo). Si noti come la sezione aurea venga raggiunta - e mantenuta - a partire dalla sesta posizione.
Terza colonna: serie decrescente, in numeri fratti.
Quarta colonna: risultato della divisione (o del rapporto) tra il numero della cella accanto a sinistra ed il sottostante (o successivo). Si noti come la sezione aurea «al negativo» - per così dire - venga raggiunta e mantenuta a partire dalla settima posizione.
Quinta colonna: serie decrescente, identica a quella della terza colonna, ma in numeri decimali.



2 0,667    1/2  1,500 0,500
3 0,600    1/3  1,667 0,333
5 0,625    1/5  1,600 0,200
8 0,615    1/8  1,625 0,125
13 0,619    1/13 1,615 0,077
21 0,618    1/21 1,619 0,048
34 0,618    1/34 1,618 0,029
55 0,618    1/55 1,618 0,018
89 0,618    1/89 1,618 0,011
144 0,618    1/144 1,618 0,007
233 0,618    1/233 1,618 0,004
377 0,618    1/377 1,618 0,003

Come si vede, questa tabella esemplifica quanto dicevamo in un articolo precedente, circa le due forze uguali e contrarie, che oggi si pretendono annullate, cioè azzerate, laddove è evidente che si «adunano», ovvero che tornano all'1. A proposito di quest'ultimo, che simboleggia Dio, è forse bene precisare come un simbolo non sia un'equivalenza. In altre parole, non si può paragonare meccanicamente l'Uno a Dio, vista la presenza dei numeri maggiori di 1. L'1 è simbolo del Dio celeste, è vero, ma Questi è rappresentato in terra dall'Uomo (in questo caso, ma solo in questo caso, con la maiuscola), creatore [dei nomi delle creature] per delega divina. In quest'ottica veramente l'Uomo, vicario (khalifa) di Dio, è "misura di tutte le cose - come dice Protagora - che esistono e che [apparentemente] non esistono", delle cose visibili, cioè, e di quelle invisibili (la serie decrescente alludendo appunto a queste ultime). L'1 è l'uomo, insomma, ciascuno di noi, giusto mezzo o aurea mediocritas secondo le circostanze, femmina o maschio secondo i casi, ognuno,
secondo i gusti, con la sua puzza di piedi o col suo odore di santità.
Giunti fin qui, ci piace citare due passi evangelici: "Quel che farete al più piccolo di voi l'avrete fatto a Me" (Matteo, XXV, 40). Ed inoltre: "Il più piccolo di voi, quegli è il più grande" (Luca, IX, 46).
oOo

In conclusione, da E. Giusti (ne Il giardino di Archimede) trascriviamo di seguito qualche riga della pagina dedicata al grande pisano. Vi si può vedere come la sullodata «serie di Fibonacci», oltre alla produzione dei frattali del broccolo romanesco ed alla riproduzione dei coniglii, nonché alla disposizione - anzi, alla predisposizione - di foglie, fiori, conchiglie e titoli di borsa, serva anche a risolvere ardue questioni.
"Sempre ai primordi della matematica rinvia il problema della scacchiera. Vuole una nota leggenda che l'inventore del gioco degli scacchi chiedesse al principe, al quale lo offriva, un'inusuale ricompensa: un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via, sempre raddoppiando, fino a giungere all'ultima casella della scacchiera, la sessantaquattresima. L'apparente modestia della richiesta, un po' di chicchi di grano, indusse l'incauto principe ad acconsentire al desiderio dell'inventore. Mal gliene incolse, perché la quantità dei chicchi di grano eccedeva non solo quanto era contenuto nei granai del regno, ma quanto frumento tutta la Terra potesse dare, quand'anche fosse stata tutta coltivata a grano.
Fibonacci non menziona questa leggenda, ma calcola il numero che si ottiene duplicando ogni volta quello della casella precedente fino alla fine della scacchiera, e la somma di tutti questi numeri, cioè il numero totale dei chicchi di grano della leggenda.
Il risultato si potrebbe ottenere partendo da 1 e raddoppiando ogni volta: 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, 512, 1024, 2048 e così via, fino al sessantaquattresimo numero della sequenza. Fibonacci però è più furbo, e trova un procedimento più veloce. Comincia a calcolare i primi otto numeri, quelli cioè che formano la prima riga della scacchiera; la loro somma 1+2+4+8+16+32+64+128=255 è di uno minore del numero successivo 256. Se ora si moltiplica 256 per se stesso, si ottiene 65.536, che supera di uno la somma dei numeri delle prime due righe. Moltiplicando questo numero per se stesso, si trova 4.294.967.296, che è di uno superiore alla somma dei numeri delle prime quattro righe. Infine, moltiplicando ancora una volta l'ultimo numero trovato per se stesso, si trova 18.446.744.073.709.551.616, che supera di uno la somma di tutti i numeri della scacchiera, ossia di tutti i chicchi di grano.
Un numero così lungo non dice niente, ed è difficile farsi un'idea della sua enormità; in fondo, a vederlo scritto, non sembra poi tanto spaventosamente grande. Per far sì che il lettore possa farsi un'idea, Leonardo introduce una serie di grandezze crescenti. Supponiamo - dice - che i numeri rappresentino altrettanti bisanti (monete d'oro imperiali); le prime due righe della scacchiera assommeranno a 65.536 bisanti, che riempiono una cassa. Alla terza riga si ricomincia con 2, 4, 8 casse, finché, alla fine della quarta riga, si saranno riempite 65.536 casse, che faranno una casa. La quinta e la sesta riga daranno allora 65.536 case, una città; e infine le ultime due righe moltiplicheranno il numero delle città fino a 65.536. In totale, se si parte con un bisante, tutta la scacchiera ammonterà a 65.536 città, ognuna delle quali sarà composta di 65.536 case, che conterranno ciascuna 65.536 casse con 65.536 bisanti ognuna".


Ci sembra da evidenziare la similarità di questo numero con il totale degli anni di un manvantara, la cui durata - come si diceva tempo fa, citando san Pietro - assomma a circa 65.000 anni, ovvero a cinque «grandi anni», cioè (sul che si veda anche qui) ad un lustro cosmico. Detto per inciso, alla cosmesi della lustrazione abbiamo dedicato qualche verso, nella pagina Ll'aneme d'o prïatorio.