Discorso di messer Giovan Battista Ramusio sopra
1) varie isole scoperte per li mercatanti portoghesi e
2) l'informazioni che di quelle hanno scritto alcuni reverendi padri della Compagnia del Iesú.

Questo si può ben sicuramente affermar per ciascuno, che mai gli antichi non ebbero tanta cognizione del mondo che il sol circonda e ricerca in 24 ore, quanta noi al presente abbiamo per la industria degli uomini di questi nostri secoli. Certo, maravigliosa cosa veramente è a pensare la gran mutazione e alterazione che fece in tutto l'Imperio romano la venuta de' goti e altri barbari in Italia, conciosiacosaché tali populazioni estinguessero tutte l'arti, tutte le scienzie e tutti i traffichi e mercanzie che in diverse parti del mondo si facevano: e durarono per 400 anni e piú quasi come le tenebre d'una oscura notte, sí che alcun non ardiva di partirsi del suo paese natio e andar altrove, dove che avanti la venuta di detti barbari, quando fioriva l'Imperio romano, in tutte l'Indie orientali per mare sicuramente si poteva navigare; ed era cosí frequentato e celebre questo viaggio e conosciuto come egli è al presente per le navigazioni dei portoghesi. Ciò non pertanto, hassi a dir che gli uomini della età nostra, molto piú che gli antichi industriosi e arrisicati nel cercare il mondo, non aveggendosi della naturale lor fragilità e debolezza, come se sieno immortali, non restano per alcuna difficultà, né della zona torrida né delle due aggiacciate e fredde, d'andare continuamente travagliando, rivolgendosi d'intorno a tutta la rotondità della terra per saziar la loro immensa cupidità e avarizia.

1) Li popoli di questa isola, di nome Burnei, sono cafri e per loro dii adorano il sole e la luna: il sole perché egli è signor del giorno, la luna della notte. Quello esser maschio, questa femina dicono, e chiaman questo padre e quella madre dell'altre stelle, le quali si pensano che tutte siano dii, ma dii piccoli. Quando vien fuora la mattina il sole, lo salutano con alcuni lor versi, piú presto che l'adorino, e cosí la luna che risplende la notte, da' quali addimandano figliuoli, e abbondanzia di bestiami e di frutti della terra, e altre cose simili. Sopra ogni altra cosa osservano la pietà e la giustizia, e spezialmente amano la pace e l'ozio, e grandemente biasmano la guerra e hanno in odio. Il loro re, mentre che sta in pace, è onorato come dio; ma quando desidera di far guerra, non si riposan mai fin a tanto che per le mani del nimico il re sia ammazzato, il quale, ogni volta che delibera di far guerra (il che raro accade), è messo nella prima squadra dell'ordinanza, dove esso è constretto sostener il primo empito de' nimici. Né par loro dover con furia voltarsi contra il nimico, se non quando intendono che sia stato morto il re; allora gagliardamente e con furia cominciano a combattere per la libertà e per il nuovo re. Né mai s'è visto appresso di loro re alcuno movitor di guerra che nel fatto d'arme non sia morto: e per questo rare volte guerreggiano. Par ancora a loro cosa ingiusta il voler slargare i lor confini. Tutti si guardano dal far ingiuria a' lor vicini o a' forestieri, ma se qualche volta sono ingiuriati, s'ingegnano parimente vendicarsi, e acciò che la cosa non pigli campo, subito cercano di far pace. Né cosa alcuna appresso di loro si stima piú gloriosa che di esser il primo a dimandarla, e similmente nissuna cosa è piú brutta che nello addimandar pace esser l'ultimo: ma vergognoso e detestabil atto esser si pensano negarla a quelli che la dimandano, ancor che abbino il torto, e contra di questi tali che non voglion far pace tutti li popoli vicini congiurano insieme, come contra crudeli e impii uomini. Per il che interviene che quasi sempre vivono in somma tranquillità e pace. Appresso di costoro non si usa rubar né far omicidii. Che bisogna che io mi vada dilatando? Tutte le cose appresso costoro sono in poco prezio, eccetto la pace, l'ozio e le spezierie, delle quai cose la pace è la piú bella, e quella che da ciascuno oltre a ogni altra si debbe desiderare. Pare che sia stata scacciata dalla smisurata malignità degli uomini, e relegata appresso di costoro, in cambio della quale, per l'avarizia e per l'insaziabile appetito della gola, andiamo cercando le spezierie negli altrui paesi e terre da noi non conosciute. E tanto può fra gli uomini il vizio, che noi lasciamo le cose alla salute nostra utili e necessarie, e cerchiamo quelle che si servono alla nostra lussuria e voragine. [...]
Nella città di Cambaia i sacerdoti avanti gl'idoli predicano al popolo, persuadendolo a voler fare a quelli qualche servizio notabile, e che la piú grata cosa che potessero fare, della qual ne conseguiriano grandissimo premio nell'altra vita, saria quando un uomo volesse morire e farsi ammazzare per amor loro. Allora, per la gran forza ed efficacia delle parole di costoro, molti determinatamente vengono ad offerirsi a questo, i quali subito son condotti sopra un palco dove, fatte alcune cerimonie, gli appresentano un collare di ferro largo intorno al collo, il quale dalla parte di fuori è tondo, ma in quella di dentro è fatto a modo di un rasoio; e nella parte davanti del collare pende una catena sin al petto, nella quale, postisi a sedere e ritirando a loro le gambe, vi mettono dentro i piedi, e in tanto che il sacerdote dice certe parole, costoro avanti tutto il popolo gagliardamente distendono i piedi, e alzando la testa spiccano immediate il capo dal busto: e in quella maniera offerendo la vita in sacrificio degli idoli, sono riputati santi. [...] In Bisinagar hanno per costume, in un certo tempo dell'anno, di portar in mezzo di duoi carri un idolo per tutta la città, con gran solennità e moltitudine di popolo. Sui carri vi stanno bellissime giovanette, che cantano infinite canzoni in lode di quei idoli, e molti, mossi da divozione di quella fede, si gittano in terra avanti quei carri, li quali attraversandoli adosso stiacciano lor tutte l'ossa: e affermano questa maniera di morte essere accetta alli lor dei. Altri si forano tra le coste, per le quali passando delle corde, e legatele al carro, si fanno cosí strascinare, e miseramente finiscono la lor vita: e dicono che questo modo di morire è un gratissimo sacrificio alli loro dei. [...]
Le donne publiche dell'India, in ciascun luogo che l'uomo le vuole, le trova immediate, perché sono sparse per tutta la terra e hanno case proprie, nelle quali tengono olii, unguenti, profumi e altre cose odorifere; e con molte lusinghe e parole accarezzano mirabilmente gli uomini, ciascuno secondo l'età loro, e sono molto accorte e gran maestre a provocar gli uomini ai lor diletti: e di qui nasce che tra gl'indiani non si sa ciò che sia quel vizio abominevole. [...]
Appresso si truova la gran China, il re della quale è il maggior di tutti li re del mondo, e si chiama Santoa raia. Detto re ha sotto il suo imperio 70 re coronati, e ha un porto di mare detto Canthan e due città principali, cioè Nauchin e Connulaha, dove esso suol abitare, e sempre tien quattro de' suoi principali appresso il suo palazzo, cioè un verso levante, l'altro verso ponente, e l'altro a mezzodí e l'altro a tramontana, e ciascun dà audienzia a quelli che vengono da quelle parti. Tutti li signori dell'India maggiore e di quella di sopra danno obedienzia a questo re, e per segno che siano veri vasalli, ciascun tien nella piazza che è in mezzo le loro città un animal detto lince, che è piú bello che un leone: e il sigillo del re di China è la lince, e tutti quelli che vogliono andar a China portano questo sigillo di cera over sopra un dente di elefante, altramente non lo lascieriano entrar nel porto. Quando alcun re è inobediente al re lo fanno scorticare, e insalata la pelle e secca al sole, la empiono di paglia o d'altra cosa, e la fanno star col collo basso, posta nella piazza sopra qualche luogo eminente, acciò che ciascuno la vegga. Il re non si lascia mai vedere da persona alcuna, e quando li suoi cortigiani lo voglion vedere, esso discende dal palazzo in un padiglion che è ricchissimo, accompagnato da sei damigelle sue principali, le quali sono vestite come esso, e di quello entra in un serpente detto nagha, che è la piú maravigliosa e ricca fabrica del mondo ed è posto nella corte maggiore del palazzo, e il re entra dentro con le prefate donne per non esser conosciuto tra quelle: li suoi guardano per un vetro che è posto nel petto del detto serpente e veggono il re e le donne, ma non possono discernere qual sia il re. Detto re si marita con le sorelle, acciò che 'l sangue reale non si mescoli col sangue d'altrui. Il suo palazzo è circundato da sette muri larghi grandemente un dall'altro, e in ciascun di questi tali circuiti stanno diecimila uomini, che fanno la guardia al palazzo fin a tanto che suona un certo segno; poi vengono altri diecimila in ciascun circuito, e cosí si mutano di dí e di notte. In questo palazzo sono settantanove sale ove stanno infinite donne che servono al re, e hanno sempre torcie accese per mostrar maggior grandezza. Chi volesse veder tutto questo palazzo consumeria tutto un giorno. Tra l'altre vi sono quattro sale principali, dove alcune volte il re dà audienzia alli suoi principali, una delle quali è tutta disotto e disopra coperta di metallo, un'altra tutta d'argento e un'altra tutta d'oro, e l'ultima coperta tutti li muri di perle e gioie preziosissime. Quando li suoi vasalli gli portano oro o altra cosa preziosa, la mettano in questa sala, e dicono: "Questo sia ad onor e gloria del nostro Santoa raia". Queste genti di China sono bianche e vanno vestite come noi, e mangiano sopra tavole come noi, e hanno la croce, ma non sanno perché la tengono. In China nasce il muschio d'una bestia che è simil ad un gatto, il qual mangia d'un legno dolce grosso un dito, ed è chiamato comaru. Dietro alla costa di China sono molti popoli, come di Chenchii, dove si truovano perle e qualche legno di cannella, e li popoli detti lichii, dove è il re di Mien, il quale ha sotto di sé vintiduoi re, ed egli è suggetto al re di China. Vi si truova anche la gran città detta Cataio orientale, e molti altri popoli in detta terra ferma, e tra gli altri alcuni di costumi sí bestiali che, come veggono il lor padre e madre vecchi e mal gagliardi, gli ammazzano accioché non travaglino piú in questa vita.

2) Nella parte di settentrione, sopra la China e verso l'oriente, discoprirno li mercatanti portoghesi una isola chiamata Giapan, nella medesma altezza che è Italia, longa da levante a ponente, secondo la informazione che danno, DC leghe e larga CCC. Di quella venne l'april passato una persona molto ingeniosa e prudente, detto Angero, con duoi servitori, e s'informò da noi delle cose della nostra fede intieramente, e informato in breve tempo si fece cristiano, e gli fu posto nome Paulo. Costui è stato con noi in questo collegio nostro di Goa, chiamato Paulo di Santa Fede, dove ha imparato la lingua portoghesa, a legger e scriver a nostro modo, e ha tradotto in la sua lingua in breve compendio le cose essenziali della nostra fede e legge. Si dà quest'uomo all'orazione e contemplazione, chiamando e sospirando per Iesú Cristo, ed è tanta la sua bontà che non si potria scrivere. Essendo da noi interrogato nel tempo del suo catechismo, ne diede conto delli costumi e legge della sua terra, e perché egli non è instrutto nelle lettere che sanno quelli de l'isola che son reputati dotti, ma sa solamente la sua lingua volgar, però pare contasse cose cavate dell'oppinioni volgari piú che delle scritture sue. E in questa informazione essendovene di molte notabili, la manderò cosí come ne l'ha dettata, riportandomi a scriver la verità del tutto piú certa, come sia gionto in quelle bande il nostro padre maistro Francesco Xavier, e che gli abbi vedute le sue scritture e praticato con quelli popoli. [...]
Il re principale nella sua lingua si chiama voo: questo è della piú nobile progenie che sia fra loro, della qual nessuno si marita con altro lignaggio. Questo voo pare che sia fra loro come fra noi il papa, e ha iurisdizione nelle cose temporali e spirituali, cioè fra seculari e religiosi, delli quali ci è grande numero in questa terra. E per benché abbia piena autorità sopra il tutto, mai però fa guerra né comanda che sia ucciso alcuno, ma lassa tutta la cura di questo ad un altro che è fra loro come fra noi l'imperadore, chiamato nella loro lingua goxo, il quale ha il governo e imperio sopra tutta l'isola, e sta pure alla obedienzia del detto voo: e quando goxo va a visitarlo, dicono che sta col ginocchio in terra e gli pone il capo per riverenzia a mezza gamba. E benché tenga gran corte di baroni e capitani e soldati, avendo cura della giustizia e della guerra, nondimeno, se detto goxo facesse qualche cosa mal fatta, voo lo potria privar del regno e tagliargli la testa. Prestano grande obedienzia li minori alli maggiori, per la grande giustizia che usano, e hanno oppinione che tutti li peccati siano equali, e tanta punizione danno a chi robba diece bazzaruchi come ad uno che robbasse cento scudi. Non sono tiranni li principi, e se nascono fra loro dissensioni, overo faccino guerra uno con l'altro, il goxo si mette di mezzo a pacificargli, se da sé non si concordano. E se qualche uno è contumace e non obbedisce, il medesimo goxo gli fa guerra e toglie lo stato e anco il capo, ma non la signoria, anzi la dà a quello che appartiene di averla, come se il detto signore fosse morto di morte naturale. [...]
Sono in questa isola tre sorti di religiosi, quali hanno monasterii a modo de frati, alcuni dentro della città, altri di fuora. Quelli che stanno nella città mai si maritano, vivono di limosine, portano la testa e barba rasa, usano vesti longhe con maniche grandi quasi come gli altri, e nella invernata portano coperta la testa e nel resto del tempo discoperta; mangiano insieme come frati e digiunano molte volte nell'anno. Questi religiosi non mangiano animali, e questo per smagrare il corpo e levargli il desiderio del peccare: e questa abstinenza è commune a tutti li religiosi di quella terra, quali dice si levano a mezzanotte a far orazione, il che fanno cantando per spazio di mezza ora, e ritornano a dormire insino all'aurora; allora si levano di nuovo a dire altre orazioni; il simile fanno quando si leva il sole e a mezzogiorno e all'ora della sera, nella qual ora fanno un segno che tutto il popolo si inginocchia e leva le mani al cielo, come facciamo noi. Le orazioni che dicono dice questo uomo che non l'intende, perché sono in altro linguaggio. Altri religiosi predicano al popolo e hanno grande audienza, e piangono e fanno piangere il popolo. Predicano essere un solo Iddio creatore di tutte le cose, e che vi è il purgatorio, paradiso, inferno; item che tutte le anime, quando passano di questo mondo, vanno al purgatorio, cosí buoni come cattivi, e di là si dividono, li buoni per andare al luogo dove è Iddio, li cattivi per quello dove è il demonio, il qual dicono esser stato mandato da Dio a questo mondo per punizion delli cattivi. Questi religiosi fanno molto virtuosa vita, eccetto che sono notati di quello abominabile peccato per occasione di molti fanciulli che tengono per insegnare nelle lor case, ancor che lor predicano al popolo che questo sia gravissimo peccato, lodando la castità. Sono tutti vestiti di vesti negre insino alli piedi, e sono gran litterati, e hanno nella loro casa un superiore al quale tutti ubbidiscono, e non ricevano per clerici se non persone savie e approvate nelle virtú. Altritanti predicano dell'inferno, dicendo l'anime sono tormentate in quello per li demonii in diversi modi, stando li dannati a perpetuo fuoco e altre pene; e il medesimo dicono essere nel purgatorio, dove quelle anime che non hanno fatto in questa vita con degna penitenzia stanno ritenute infino a tanto che si purghino, e che nel paradiso vi sono gli angeli, li quali stanno contemplando la divina maestade. Tengono che li angeli ancora siano defensori degli uomini, però usano portar adosso imagini de angioli, quali dicono esser spiriti e creatura d'una altra materia e non elementale. Item usano grande orazioni in laude di Iddio, e contemplar, in tanto che cantano. E usano sonar campane per congregar la gente alla predica e al sacrificio e orazioni commune, e quando muore qualche uno; e congregandosi per portar li morti per sotterar overo abbruciar, portano candele accese. Tutte le leggi e scriture e orazioni loro sono scritte in una lingua diversa dalla lingua volgare, come è fra noi la latina. Dimandato se usano sacrificii, dice che certi giorni li sacerdoti, e specialmente il prelato loro, vestito di certe vesti, viene alla chiesa, e in presenzia del popolo bruciano certi odori e incenso e aguila e certe foglie odorifere, sopra una pietra a modo di altare, cantando certe orazioni. Le chiese di questa gente tengono la medesima libertà come le nostre, perciò che la giustizia non può pigliare né tirare fuora di quelle alcun per alcuno caso, se non per furto. Tengono nelli templi molte imagini de santi e sante dipinte di rilievo, con diademe e risplendore come le nostre, e hanno in simil venerazione li santi come noi; e se bene adorano uno solo Iddio creatore di tutte le cose, pure fanno orazione alli santi acciò preghino Iddio per loro. Questa gente mangia di tutte le cose, e non si circuncide. Pare verisimile che l'Evangelio sia penetrato in questa regione, e che per li peccati poi si sia il lume della fede oscurato, o per qualche seduttore come Macometto levata via. E stando a scrivere questa lettera, è venuto a me un vescovo armeno ch'è stato piú di quaranta anni in quelle bande, e hammi detto aver letto che gli armeni furono a predicare nella China nel principio della primittiva chiesa; però saria gran bene che di novo si facesse illuminar quei popoli della fede e dottrina evangelica, e se ben da Roma sino al Giapan siano ottomilia leghe di viaggio, a chi ama la salute delle anime tutti li travagli e pericoli del mondo sono delizie. Primamente la gente con la qual abbiamo conversato è la miglior che insino adesso si sia scoperta, e fra infideli pare che non si troverà un'altra migliore. Generalmente sono di buona conversazione; son buoni e non maliziosi, e stimano mirabilmente l'onore piú che niuna altra cosa. Communemente sono poveri, e la povertà tanto fra li nobili quanto fra gli altri non si reputa a vergogna. Usano una cosa che mi pare non si usi in luogo niuno de cristiani, la qual è che alli nobili, quantunque poveri, quelli che non son nobili li fanno tanta cortesia quanto se fussero molto ricchi, e per nissun prezzo un gentiluomo si maritarebbe con altra casata che non fusse nobile, perché li pare che in questo si perda l'onore, il qual è piú stimato che le ricchezze. È gente molto cortese fra loro, e stimano e si confidan molto nell'armi: portano sempre le spade e pugnali, tanto li nobili quanto le genti basse, cominciando dalli quattordici anni. Non patisce questa gente ingiuria alcuna, né parole di dispregio; come la gente ignobile porta grande riverenza alli nobili, cosí tutti li gentiluomini reputano gran laude il servir al signor della terra ed esserli molto soggetti, il che mi pare che facciano piú presto per non perder l'onore faccendo il contrario, che per paura di esser puniti da lui. Son temperati nel mangiare, benché nel bere siano alquanto larghi; fanno il vino di riso, perché non vi è altro in quelle bande. Non usano giuochi mai, parendoli esser grande disonore, desiderando quelli che giuocano quello che non è suo, e perché di qui si può venire ad esser ladroni. Giurano poco, e il giuramento loro è per il sole. Gran parte della gente sa leggere e scrivere, il che è gran mezzo per brevemente imparare l'orazioni e cose d'Iddio; e hanno una sola moglie. Vi sono pochi ladri, e questo per la giustizia grande che fanno di quelli che trovano rubbare, al qual vizio portano grande odio. È gente di molto buona volontà, amorevole e desiderosa di sapere; si dilettano molto delle cose di Dio, massime quando le capiscono. Fra tutte le terre che mai ho visto de cristiani e de infideli, non ho visto gente cosí fidata circa il non pigliar quello d'altrui. Non adorano idoli né figure d'animali, ma molti di loro il sole e altri la luna, e credono in certi uomini antichi la piú parte di loro, li quali (come ho inteso) vivono come filosofi. Si dilettano di sentir cose conformi alla ragione, e benché vi siano vizii e peccati fra loro, quando li danno ragione, mostrando esser mal fatto quello che fanno, l'accettano assai bene. Manco peccati trovo fra li seculari, e piú obedienti li vedo alla ragione che gli altri che tengono per padri spirituali, quali chiamano bonzi, li quali sono molto inclinati al peccato che la natura aborrisce, e loro lo confessano: ed è tanto publico il lor vizio a tutti, grandi e piccoli, uomini e donne, che per esser tanto in uso non è tenuto in odio, né di quello si spaventano né si vergognano. Quelli che non sono bonzi hanno molto caro di sentir riprender quell'abominevol peccato, parendogli che abbiamo gran ragione in dir quanto sono mali e quanto offendano Dio quelli che lo commettano. Li bonzi ripresi da noi, tutto quanto che li diciamo lo pigliano in burla e se ne ridono, non si vergognando d'esser ripresi di cosí brutto peccato. Tengono questi bonzi molti fanciulli nelli loro monasterii, figliuoli di nobili, alli quali insegnano a leggere e scrivere, quali gli danno occasione di tanta disonestà. Ho parlato molte volte con alcuni di questi, e massime con uno il quale in queste bande tutti riveriscono, tanto per le sue lettere, vita e dignità, quanto per la età, ch'è di 80 anni; e chiamasi Ninxit, che vuol dire nella lingua giapanese "cuore di verità": è fra loro come vescovo, e se correspondesse il nome alla vita sarebbe beato. In molti ragionamenti che abbiamo avuto insieme lo trovai molto dubbioso, e non si sapeva risolvere se l'anima nostra fusse immortale o se muore parimente col corpo: piú volte mi disse che sí e piú volte che no; dubito che siano cosí gli altri litterati. Questo Ninxit è fatto amico mio, di modo che è maraviglia. Tutti, cosí secolari come bonzi, si rallegrano molto con noi altri, e si maravigliano grandemente in vedere come noi veniamo di tanto lontano paese come è di Portogallo al Giapan, solamente per manifestare le cose d'Iddio, e come la gente ha da salvar l'anime loro, credendo in Iesú Cristo. Dicono che il venire noi altri in questo luogo è cosa mandata da Dio. [...]
In altre regioni l'abbondanza del sostentamento corporale suole esser causa e occasione che li disordinati appetiti eschino fuori, dando molto disfavore alla virtú dell'astinenza, per il che gli uomini, cosí nell'anime come nelli corpi, patiscono notabile detrimento: ma Iddio nostro Signore ci fece tanta grazia in condurci in queste parti che mancano di quelle abbondanze, che, ancora che volessimo dar queste superfluità al corpo, non lo patisce la terra, perché non si mangia cosa che possa dar nutrimento. Alcune volte mangiamo pesci, riso e grano, ma non molto; vi sono molte erbe e alcuni frutti, con li quali ci mantenghiamo. La gente ci è molto sana che è maraviglia, e sonci molti vecchi: e bene si vede nelli giapanesi come la nostra natura si sostiene con poco, benché non sia cosa che la contenti. Vivono in questa terra molto sani delli corpi: cosí piacesse a Dio che cosí fossero dell'anime.