Qualche decennio fa, per arrotondare il magro stipendio di insegnante,* aiutavo le capre che non riuscivano a raggiungere le foglie dell'alloro. Scrivevo tesi di laurea, insomma. Quella che mi è più cara verteva sull'epistolario leopardiano, e mi diede modo di toccar con mano l'incredibile ampiezza della produzione letteraria del povero Giacomino, detto «'o ranavuottolo», pace all'anima sua. Mette conto parlarne, di questa ampiezza, non foss'altro che per la celebre battuta sulla gobba, contrabbandata come «astuccio delle ali» ed a lui attribuita. Orbene, nonostante il lungo cercare, questa battuta - a quanto mi risulta - è tuttora priva di un riferimento bibliografico.


* Non che oggi sia grasso, intendiamoci. Però ho fatto dimagrire le esigenze.

Che fare? Considerarla anonima od affiliarla d'ufficio [anagrafico] all'autore dei Paralipomeni della Batracomiomachia? Certo è che, se non l'ha scritta lui, avrebbe ben potuto farlo, lui che ha scritto, ad esempio: "Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima, con una o due persone, in un caffè, in una conversazione, in via. Tutti quelli che vi sentiranno o vedranno rider così, vi rivolgeranno gli occhi, vi guarderanno con rispetto; se parlavano, taceranno, resteranno come mortificati, non ardiranno mai rider di voi; se prima vi guardavano baldanzosi o superbi, perderanno tutta la loro baldanza e superbia verso di voi. In fine il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso. Chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire" (Zibaldone, 23 settembre 1828).
Come dice Li Po: "Sembrava una lucertola | ed era un drago". Questo distico Li Po non lo ho mai scritto, ma ciò non ha importanza, perché avrebbe ben potuto scriverlo. Oggi sembra scorretto, come modo letterario di procedere, ma bisogna sapere che tradizionalmente si usava attribuire ad un proprio parto - qualora ritenuto degno - la paternità del Maestro,* magari scomparso qualche secolo prima. Lo si faceva per modestia, per umiltà di discepolo, non per appropriarsi di qualche eredità.
* In quel tempo felice non c'era il copyright, naturalmente. In proposito, va segnalata una curiosità: coloro che maggiormente ci tengono, al copyright, sono proprio quelli che rifiutano l'unico copyright legittimo, cioè quello divino.

Tutto ciò solo per giustificare il vezzo di affermare, possibilmente con un aforisma o - ancor meglio - con un haiku, "Tizio diceva ...", anziché "Io penso ...", vezzo che, soprattutto a tavola ed in buona compagnia, mia moglie mi rimprovera spesso. Non di rado, infatti, per demolire le mie argomentazioni, spiega ai commensali che «questo se l'è scritto lui». Così vuolsi colà dove si puote quel che si vuole. La mia sola difesa consiste nel dimostrare che, ad esempio nel blog L'aicuteca (al quale questo post può rappresentare una buona prefazione), sono innumerevoli gli haiku anonimi, ma di padre illustre, laddove pure quelli che di padre illustre non sono, ovvero i miei, figurano figli di enne-enne. Difesa scafessa finché si vuole, alla «muoia Sansone con tutti i filistei», ma pur sempre difesa. Sed de hoc satis.