Cos'è l'apeiron di Anassimandro, inqualificato (nirguna) ed indistinto (nirvishêsha), se non l'innominabile ed invisibile Principio (laddove quello visibile e nominabile non è il
Principio)? Cos'è, se non il nulla, il non essere, il caos precedente l'ordine?
Cos'è, se non il caos precedente il [e successivo al] cosmo dei miliardi di miliardi di «io»? Non se ne può più, di questo «io». L'unica speranza di disfarsene, per chi non sia già svaporato "come l'acqua versata su una pietra rovente", risiede lì, nell'apeiron, nel caos, insomma nel pralaya.

"Ed io non voglio più essere io", canta Gozzano.
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Dappoiché il Signore ama prenderSi gioco dello scrivente,
ha fatto 'sì che quest'ultimo,
nel cercare in rete la parola pralaya,
si imbattesse nell'omonimia dell'immagine che segue.