Insan significa "uomo", in arabo.
Non è curiosa la somiglianza con l'italiano "insano [di mente]", quasi che ogni essere umano sia predisposto ad una sorta di psicopatìa?
In effetti, parlando di psiche (che, in greco, sta per "anima"; nafs, in arabo) è solo l'anima che può ammalarsi, perché lo spirito (pneuma, in greco; ruh, in arabo) è incorruttibile. Il corpo, (soma, in greco, cioè "carico" - donde somaro - o "bagaglio"), tutto sommato non è che un ingombrante accessorio dell'anima.

Ci si ammala
di continuo.
E continuamente si guarisce. Si guarisce perciò da molti cancri, come da molti raffreddori. Come da molti peccati. Del resto, non si può esser mai sicuri che una certa malattia non esista. Magari la fedifraga era pronta a spuntar fuori qualche ora dopo le minuziosamente compiute analisi del caso. Tanto per fare un dispetto alle prodigiose attrezzature che il Ministero della Salute mette a disposizione di noi cittadini schizofrenicamente «sudditi-sovrani».
A proposito di schizofrenia, quindi di psicopatìe, non è forse il mondo moderno quello che provoca le malattie (prima dell'anima e poi, a caduta, del corpo)? Le provoca, ma non può curarle, avendo perso di vista l'anima.
Un vecchio amico tunisino diceva che "ogni malattia è l'espiazione di qualche peccato", il che - secondo lui - fa di un male somatico un bene psichico. Guai a curarla, sicché, la malattia. D'altra parte un suo compaesano ancor più anziano, sant'Agostino, la pensa allo stesso modo: Puniendum est peccatum, | aut a te aut ab Ipso. | Si punitur a te, tunc punietur sine te; | si vero a te non punitur, | tunc tecum punitur

Sembra un limerick,* ma si trova nei Sermones (XXIX, 6).

* Il limerick è tipicamente irlandese, ma la filastrocca a rima baciata, più o meno priva di senso, con l'ultimo verso identico al primo, è un reperto tradizionale quasi onnipresente (come le celeberrime "tre civette sul comò"). In assoluto OT - come si dice oggi - ne citiamo due esempii mediterranei, il primo in omaggio alle sole chiocciole
, il secondo ai massoni - come motivato qui - ed alle chiocciole. 1) Viri ki dannu ca fannu i babbalùci, | ca cu li coinna ammùttano i balàti. | Si 'unn'era lestu a jettàrinci 'na vuci ... | Viri ki dannu ca fannu i babbalùci. 2) L'omm 'e panza, 'int'a paranza, | scutulàje 'a parannanza. | De maruzze nce n'ascette | 'nu panaro. 'azz! - dicette | l'omm 'e panza, 'int'a paranza. Visto che il traduttore automatico si trova in imbarazzo, aggiungiamo la traduzione. 1) "Guarda che danno che fanno le lumache (le chiocciole, les escargots) | che, con le corna, sollevano i lastroni. | Se non ero lesto a dar loro una voce ... | Guarda che danno che fanno le lumache". 2) "L'uomo «di sostanza», nella paranza, | scrollò il grembiule. | Di lumache ne sortì | un cesto. Càspita! - disse | l'uomo «di sostanza», nella paranza". Infine, l'ultimo off topic: "babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari".