"Asín Palacios - scrive Qasim Abduh Qasim - divide gli influssi islamici [su Dante] in tre gruppi: il racconto dell’ascensione notturna di Muhammad (Isrâ’ e Mi‘râj), un racconto sufico di ascensione al cielo scritto da ibn ‘Arabî e l’Epistola del perdono del poeta Abû l‘ Ala’ al Ma‘arri (morto nel 1058). Lo scritto di Palacios sollevò una violenta polemica negli ambienti culturali e accademici europei, e gli studiosi si divisero in due fazioni contrapposte. La diatriba, iniziata negli anni ‘20, sarebbe potuta durare fino ad oggi, se non fosse stato per la scoperta di una traduzione francese e latina del racconto del Mi‘râj intitolato La escala de Mahoma, risalente al secolo XIV. Gli studiosi scoprirono che era stato già tradotto in lingua castigliana negli anni '50 del secolo XIII".
Aggiungiamo a quanto sopra l'affinità tra l'Alighieri e lo Shlomo (Immanu'el ben Shelümüh, Manoello Giudeo, alias Immanuel Romano) e la devozione dell'uno e dell'altro al grande ghibellino Can Francesco della Scala,* il Gran Can de' noantri. 

Gesù, che bei tempi.

* In proposito, rubiamo al sito FreeUniversity ("a website dedicated to the work of Immanuello Romano, jewish poet of Rome") il Bisbidis a magnificentia di messer Cane de la Scala, composizione poetica - filastrocca o frottola che si voglia - davvero ammaliante. Notevole ci sembra la quartina in cui si esalta la grandeur del vero noblesse-oblige, alla quale "non cale" qualche ruberia della servitù.


Del mondo ho cercato,
per lungo e per lato,
con caro mercato,
per terra e per mare.

Veduto ho Soria
in fin Erminia,
e di Romania
gran parte mi pare.

Veduto ho 'l Soldano,
per monte e per piano;
e si del Gran Cano
poria novellare.

Di quel ch' aggio inteso,
veduto e compreso,
mi sono ora acceso
a volerlo contare,

che pur la corona
ne porta Verona,
per quel che si suona
del dire e del fare.

Destrier e corsiere,
masnate e bandiere,
corazze e lamiere
vedrai remutare.

Sentirai poi li giach
che fan quei pedach
- giach giach glach giach glach -
quando gli odi andare.

Ma pur li tormenti
mi fan li strumenti,
che mille ne senti
in un punto sonare.

Duduf dududuf
duduf dududuf
duduf dududuf

bandiere sventare.

Qui vengon poi feste
con le bionde teste:
qui son le tempeste
d'amore e d'amare.

Le donne: "Muz muz".
Le donzelle: "Usu usu".
Le vedove: "Sciuvi uu" ...
che ti possa annegare!

Poi trovan fantesche
tuttora più fresche
a menar le tresche.
Trottare ed ambiare.

L' una fa: "Cosi?"
E l'altra: "Pur si".
E l'altra: "Sta qui
ch'io vo per tomare".

In quell'acqua chiara,
che 'l bel fiume schiara,
la mia Donna cara
vertù fa regnare,

ch' Amor è 'n la sala
del Sir de la Scala.
Quivi senza ala
mi pareva volare;

ch' io non mi credea
di quel ch' i' vedea,
ma pur mi parea
in gran mare stare.

Baroni e marchesi
di tutti i paesi,
gentili e cortesi,
qui vedi arrivare.

Quivi astrologia
con filosofia
e di teologia
udrai disputare.

Quivi Tedeschi
Latini e Franceschi
Fiamenghi e Ingheleschi
insieme parlare;

e fanno un trombone
che par che rimbombe
a guisa di trombe
che pian vol sonare.

Chitarre e liùti
vïole e flaùti
voci alt' ed acute,
qui s'odon cantare.

Stututù ifiù
stututù ifiù
stututù ifiù

tamburar, suffolare.

Qui boni cantori
con intonatori
e qui trovatori
udrai concordare.

Quivi si ritrova
mangiatori a prova,
che par cosa nova
a vederli golare.

Intarlatitim
intarlatitim
intarlatitim

ghirbare e danzare.

Li falconi cui cu,
li bracchetti gu gu,
li levrieri giù giù,
per volersi sfugare.

Qui, con falconieri,
maestri e scudieri,
ragazzi e corrieri,
ciascun per sé andare.

E quanto e quanto
e quanto e quanto
e quanto e quanto
li vedi spaziare!

E l' uno va su
e l'altro va giù:
tal donna ven giù,
che non lassa passare:

Bisbis bisbidis
bisbis bisbidis
bisbidis bisbidis

l'udrai consigliare.

Quivi babbuini,
romei, peregrini,
giudei e saracini
vedrai capitare.

Tatim tatatim
tatim tatatim
tatim tatatim

sentirai trombettare.

Baluf balauf
baluf balauf
baluf balauf

udrai tringugliare.

Di giù li cavalli,
di su i papagalli,
in la sala li balli
insieme operare.

Dudu dududu
dudu dududu
dudu dududu

sentirai naccherare.

Ma quel che più vale
(e al Sir non ne cale)
è veder per le scale
taglier trafugare,

con quel portinaro
che sta tanto chiaro
che quel tien plu caro
che me' ne sa fare!

Qui de li ragazzi
veduto ho sollazzi
che mai cotal pazzi
non vidi muffare.

Qui non son minazze,
ma pugna e mostazze
e visi con strazze
et occhi imbugliare.

Gegi gegegi
gegigegegi
gegi gegegi

gli uccelli sbernare.

Istruzzi e buovi,
selvaggi ritrovi
ed animai novi
quant'uom pò contare.

Qui sono leoni
e gatti mammoni
e grossi montoni
veduto ho cozzare.

Bobò bobobò
bottombò bobò
bobò bottombò

le trombe trombare.

Quivi è un vecchiume
che non vede lume
che largo costume
gli fa govemare,

qui ven poverame
con siffatte brame,
che'l brodo col rame
si vol trangugiare.

Quivi è una schiera
di bordon di cera
che l'aere la sera
si crede abbruciare.

Tatam tatatam
tatam tatatam
tatam tatatam

i lïuti tubare.

Qui son grandi giochi
di molti e di pochi,
con brandon di fochi
veduto ho giostrare.

Qui vengon villani
con siffatte mani
che paiono alani
di Spagna abbaiare.

Quivi son le simie
con le molte alchìmie,
a grattarsi le timie
e voler digrignare

e d'un riso: "Che c'è?
che c'è? che c'è?
c'è? he he he he",
ogni uomo crepare.

Qui altri son stati
si ben divisati
che tra li beati
sen può ragionare

e questo è 'l Signore
con tanto valore,
che 'l suo grande onore
va per terra e mare.