Non si può metterle il sale sulla coda, alla lingua, almeno non a quella parlata.* Prendiamo il caso di «però»: in italiano classico significa "perciò", in quello moderno, "invece". Caso analogo è quello dell'«ospite», ruolo che non si sa se attribuire all'ospitante o all'ospitato. Per quanto talvolta si possa ovviare all'inconveniente, spesso è solo il contesto quello che aiuta. Così il verbo «compatire», sul quale abbiamo indugiato altrove: tra il compassionevole, il compatito e il compatibile, com-patisce colui che prova compassione o colui che fa compassione? Per dir meglio, se X compatisce Y, il cum-pathos di X è con Y o di Y? In altre parole, X soffre davvero insieme ad Y (e soffre psichicamente, cioè sentimentalmente, visceralmente, quindi corporalmente, della sofferenza di Y) oppure si limita a nutrire un misto di pietà e di disprezzo per Y? Pleonasticamente, duplicando cioè la preposizione, X compatisce con Y o compatisce - e basta - Y?
* A quella parlante, sì. Magari sulla punta, se non sulla coda.
* C'è addirittura l'immancabile citazione 'scientifica', secondo cui "la somministrazione intranasale di ossitocina risulta aumentare i livelli di invidia (in caso di perdita) e di schadenfreude (in caso di vittoria) su giocatori impegnati in giochi d'azzardo". Ma il fascino della pagina in questione - almeno per chi scrive - è dato dall'abbondanza di versioni in altre lingue del concetto di schadenfreude, concetto che sembra esplicitato appieno solo in giapponese ("le disgrazie altrui sanno di miele", tanin no fukou wa mitsu no aji, 他人の不幸は蜜の味).
Tornando al nostro proverbio, sicché, il 'mal comune' può anche consistere nella collettivizzazione della disgrazia-schaden propria ("io faccio pena, perciò anche gli altri debbono fare pena"). Mal comune = mezzo gaudio [di Freud].