Sul «papa buono», GXXIII, D. Savino ha pubblicato un articolo, Socci, Fatima e gli idoli di stoppa, nel quale si analizzano le ragioni dell'idiosincrasia del pontefice verso suor Lucia e padre Pio, considerati «profeti di sventura» certamente perché visionari e probabilmente perché semianalfabeti. Al riguardo, l'autore cita il seguente passo del diario di A. Roncalli: "Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile, è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da quarant'anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili".
Dio ci perdoni, ma ci è venuto da pensare a Luca (XVIII, 11-14) ed alla parabola del fariseo e del pubblicano: «Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore"». Dio ci perdoni, dicevamo, perché la conclusione della parabola è il ben noto "chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
oOo
Su GPII e sui «fratelli maggiori», fortunata locuzione che fece subito insospettire i destinatarii (riluttanti ad accettare la loro implicita identificazione in Caino ed Esaù), ci si può chiedere se l'ironia di questo grande papa non si sia spinta fino a suggerire l'equazione orwelliana «grande fratello = fratello maggiore», equazione poi dissimulata con larghi tributi di solidarietà per il presente e di pentimento per il passato.
Si potrebbe anche insinuare la presenza, nella metafora del grande polacco, di un tacito paragone tra la sedentarietà palestinese dell'Israele d'oggi (contrapposta all'erraticità dell'Israele di ieri) e la stanzialità di un Caino rurale (contrapposta alla nomade pastorizia di Abele). Questo scambio di ruoli vedrebbe l'«ebreo errante» Abele trasformarsi in un Caino a residenza fissa. Ora, come l'instabilità terrena del primo si traduce (giusta l'analogia specularmente inversa simboleggiata dal cosiddetto «sigillo di Salomone») in stabilità celeste, così la stanzialità terrestre del secondo ha il suo contraltare nella chiusura delle frontiere oltremondane (oltre che delle stesse mondane, visto che Caino è proverbialmente punito con il contrappasso del vagabondaggio perpetuo nella sfera lunare).
Fuor di metafora, l'esilio quaggiù sarebbe la cittadinanza lassù. E viceversa.
Ciò premesso, se è vero che l'escatologia oltremondana secolarizzata in messianismo temporale è condannata al fallimento, la punizione di Caino è la delusione di Esaù. Perdita del diritto di primogenitura? Chissà. Laddove Martini e Kasper negavano, Wojtila forse ammiccava. "Se sbaglio, mi corrigerete".
oOo
L'articolo Fatima: una profezia ancora aperta, di L. Copertino, sfoggia più d'una perla. Tra queste, l'incrollabile fiducia nell'ortodossia pontificia (le presunte deviazioni dalla quale vengono ben inquadrate in chiave escatologica), la certezza nella bontà e nella veridicità delle epifanie mariane di Medjugorie e l'equilibrato parere sul conto di A. Socci.
Ma la perla vera è laddove si collazionano passi di V. Messori,* di L. Massignon e di G. Basetti Sani, i quali "hanno osservato - continua L. Copertino - che il nome della località portoghese nella quale apparve la santissima Vergine Maria non è casuale. La località portoghese delle apparizioni mariane che hanno illuminato il XX secolo deve infatti il suo nome ad una nobile fanciulla saracena, figlia del governatore del castello di Alcácer do Sal, così chiamata alla nascita, dal padre, in onore della figlia del Profeta. Questa nobile fanciulla rimase coinvolta nella secolare lotta che nella penisola iberica impegnava cristiani e musulmani. Di lei infatti si innamorò un celebre paladino della Reconquista cristiana, don Golçavo Hermingués, che la sposò avendo ella accettato il battesimo. Una dolce storia d’amore interrotta però dalla precoce morte della giovane sposa. Don Golçavo, straziato dal dolore, abbandonò le armi e si fece monaco nell’abbazia cistercense di Alcobaça, dove ottenne di trasferire i resti mortali della giovane moglie. Qualche tempo dopo, l’abbazia fondò, a pochi chilometri, un piccolo monastero, superiore del quale fu nominato proprio don Golçavo, il quale fece deporre i resti mortali di Fatima nella nuova chiesa della località fino ad allora deserta che, in tal modo, prese nome da colei che, nata musulmana, morì esemplare sposa cristiana. Esiste tuttora una chiesa, dedicata alla Madonna, nella quale si dice siano state conservate a lungo le spoglie mortali della giovane Fatima. Dunque, sin dal medioevo, Dio aveva un disegno molto preciso su Fatima. Sicché non è azzardato avanzare l’ipotesi che, apparendo a Fatima, alla Cova da Iria, località che deve il suo nome ad una fanciulla musulmana, battezzata, che portava il nome della figlia prediletta di Maometto, la Madonna abbia voluto implicitamente indicare, come effetto del futuro, ma sicuro, trionfo del Suo Cuore immacolato, anche la finale conversione dei musulmani a Cristo, Dio-Uomo (divino-umanità, del resto, secondo Massignon e Basetti Sani, già adombrata dallo stesso Corano)".
Se si pensa che il ruolo «giudiziario» di Isa/Gesù, nel Giorno per antonomasia, è verità di fede anche islamica (ad esempio, Corano, IV, 159), in qualche modo il successore dei due papi sopra citati - BXVI - ha implicitamente confortato l'ipotesi precedente, ribadendo (nella Spe salvi, al § 47) che "l'incontro con Lui è l'atto decisivo del Giudizio".
* V. Messori, ricordando la predilezione del Profeta per la figlia Fatima, alla quale fu dallo stesso Maometto annunciato il massimo ruolo femminile, in Paradiso, dopo Maria-Maryam, così commenta: "Una superiorità, dunque, nello stesso Cielo musulmano, di quella che i cristiani chiamano «Regina Coeli»".