Tra il cantone ticinese e il riso cantonese c'è una bella differenza. D'altro canto, in qualche cantuccio della soffitta o della cantina, magari in un vecchio cantaro, una cantonata non manca mai.* Ne prendiamo parecchie anche noi, di cantonate. E ce ne rendiamo ben conto, andando a ritroso nel tempo. Ma non vogliamo correggerle, almeno nello spazio di queste pagine, per non privare lettrici e lettori del piacere di trovarle.

* Il buon Bonomi, nel suo Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, ne addebita una all'altrettanto buon Pianigiani (laddove questi "cita quasi testualmente la descrizione che del gesto «far le fiche» fa la Crusca, la quale però dice «il dito grosso tra l'indice e 'l medio» e non «il dito grosso SOPRA l'indice e 'l medio») ed un'altra al non men buono Tommaseo-Bellini, colpevole di "uno scivolone", nel rendere col «far le fiche» suddetto il latino "medium ostendere digitum (che certamente è un altro gesto, ancorché correlato al nostro)".

Rileggendo dunque quanto scritto finora, ci è venuta in mente qualcosa sul concetto di «proiezione», già affrontato più volte (ad esempio, qui). In merito, si usa attribuirne la paternità a Freud e lo sviluppo a Jung.* Ma un processo mentale del genere è antichissimo, visto che Platone lo identifica addirittura con l'amore,** esperienza durante la quale il soggetto amante proietta sull'oggetto amato il meglio di sé. Analogamente, oggetto d'odio è la creatura sulla quale si rovescia il peggio di sé.

* La "proiezione" freudiana è vista in chiave individuale, a scopo eminentemente difensivo. Quella junghiana, invece, inquadrata com'è in un contesto simbolico, ha connotazioni che - nei limiti imposti dalla psicoanalisi - possono attingere al sovraindividuale. In ogni caso, nel loro ammettere che la cosiddetta «realtà» tutto è fuorché oggettiva, sono entrambe riconducibili alla "rappresentazione" di Schopenhauer (vera e propria 'rappresentazione scenica') e pertanto alla proiezione [cinematografica] della famosa caverna platonica. L'aver poi tale illusione natura endogena, in quanto fantasia del singolo (paure, speranze, progetti, aspettative), o esogena, in quanto menzogna del potente di turno (pubblicità, informazione, dicerìa, cronaca, storia), è irrilevante: l'illuso - da se stesso o dagli altri - non sa d'esser tale. A proposito di dicerìa, sembra che oggi sia necessario adeguarsi all'inedita situazione di un 'villaggio globale' in cui i pettegolezzi si propagano "di bocca in bocca, come una freccia dall'arco scocca", non più grazie alle "comari di un paesino", ma tramite giornali e televisione.

** Come è noto, nel Simposio viene spiegata la genesi di quel demone chiamato di volta Eros, Agape, Philia, ecc., svelandone quale unico artefice - invece dell'oggetto amato, che si limita a fungere da catalizzatore - il soggetto amante.

In altre parole, l'amato/a e l'odiato/a sono creazioni esclusive di chi ama e di chi odia. Creazioni inconsapevoli, beninteso, almeno al livello della quasi totalità di noi umani, per lo più capaci solo di subire - anziché di agire - tali passioni. Tuttavia, già il capire che amando ed odiando si sta solo vivendo le conseguenze di una propria creazione è un modo di elevarsi.* E va da sé la conclusione per cui necessariamente in chi si eleva dallo stato umano non c'è posto per l'odio (cioè per la proiezione di un ormai scomparso peggio di sé).

* Così, un Narciso 'basso' non ama che il proprio insignificante sé; un Narciso 'alto' ama Sé.