A rigor di termini, il vero (alethès, in greco) è l'indimenticabile. È quel che si sottrae allo scorrimento perpetuo della dimenticanza, alle acque cioè dell'orfico - pitagorico, platonico, dantesco, ecc. - fiume Lete (in greco λητή, "oblio").
Vero è che alethès deriva da lanthàno (“nascondo”, “celo”, in latino lateo), ma altresì vero è che Leto nel mito greco personifica la notte, il buio ed insomma l'oscurità letale, non a caso ponendosi a generatrice di Apollo e Diana, ovvero dei due luminari del nostro zodiaco. Alethès, quindi, come “luminoso” e “chiaro”, oltre che “indimenticabile” e - per così dire - "a-letale", cioè vivificante.

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Come postilla, a proposito della triade alètheia e kalogakathìa (per i quali la Wikipedia è sempre sollecita), le cui conseguenze invariabili sono la bontà e la bellezza del vero, potremmo infine chiederci se anche il buono disponga sempre di verità e di bellezza e se anche il bello sia sempre accompagnato dalla bontà e dalla verità.
Forse non è illecito rispondersi che, se il buono (pur restando vero) può mostrarsi brutto, il bello talvolta corre il rischio di rivelarsi falso e cattivo. D'altro canto non è insostenibile l'affermazione secondo cui il falso - ogni esistenza traendo la propria essenza dall'Essere - non esiste. Quel che può esistere è una più o meno grave carenza di vero, non l'assenza. La differenza tra vero e falso sembra insomma quantitativa (falso = < vero), anziché qualitativa, finché ci si trova nell'ambito dell'oggettività (o dell'inter-soggettività). Da un punto di vista soggettivo, invece, il buono ed il bello prevedono anche il loro contrario (tant'è che si suol dire "non è bello quel che è bello [per tutti], ma è bello quel che piace [a me]"), sebbene l'espressione «[essere un] poco di buono» possa non rivelarsi mera formula di cortesia.

Sempre in quest'ambito può trovar posto una quarta categoria, relativamente moderna e perciò prosaica, cioè l'utile, il cui impiego riserva però qualche sorpresa. Infatti, se il bello è utile quasi esclusivamente a fini pratici e quotidiani, il buono svaria dall'inutilità più totale del «buono a nulla» all'utilità polivalente del «buono per [...]» e del «buono da [...]». Tuttavia la locuzione «[ci volle] del bello e del buono» evidenzia una certa affinità 'operativa' tra i due componenti la kalogakathìa.
Il vero, invece, si sottrae a qualsiasi attribuzione del genere (un utile ultraterreno rappresentando una sorta di contraddizione in termini).