Nel suo Em causam cur equus aequus est (reperibile in rete presso il sito Episteme), Bruno d'Ausser Berrau scrive che quest'ultimo aggettivo, "nel suo senso originario, stava a indicare qualcosa di piano, di orizzontale, una superficie insomma priva di inegualità; in senso geografico, un’ampia pianura". Il cavallo (equus, in latino) è invece la creatura delegata a scorrazzare lungo quella pianura.* Ora, se c'è una caratteristica universale della legge, questa consiste nell'essere "uguale per tutti". L'assenza di inegualità potrebbe sicché equamente competere sia ad un tribunale che ad una prateria, ovvero sia a un giudice che ad un cavallo. O ad un centauro, mezz'uomo e mezzo cavallo tradizionalmente abilitato all'esecuzione della giustizia divina (aspetto una cui eco è rimasta nella povera astrologia moderna, che attribuisce al Sagittario - domicilio di Giove, Zeus, Dyaus, Jus - l'esigenza di legalità).

* Effettivamente è al quadrupede Sagittario (e perciò alla nona casa) che l'astrologia classica assegna il «lontano», sia quello esteriormente geografico che quello interiormente religioso. Tale attribuzione si chiarisce meglio osservando i Gemelli dirimpetto, ai quali compete il «vicino» della scimmia, instancabile perlustratrice del suo habitat, albero o gabbia che sia. Come sempre accade nell'ambito del simbolismo, l'analogia - se se n'è afferrato il nòcciolo - può spingersi a volontà, contrapponendo non solo il «lontano» del prete (o del missionario) al «vicino» del bottegaio, ma anche il lontano spirituale dell'asceta ed il lontano materiale del mercante, fisicamente lontano questo e vicino quello, nella sua immobilità meditativa. O il «lontano» del camionista ed il «vicino» del tassista, per un esempio più quotidiano. D'altro canto, va sempre ricordato che il «vicino» dell'entomologo è mille volte più lontano [da noi] del «lontano» dell'esploratore-colonizzatore. Anche la metafora e la lettera, insomma, stanno tra loro come il lontano della nona casa sta al vicino della terza.

L'amministrazione della giustizia competeva, in tempi normali, alla regale e gentilizia seconda casta. Ne facevano parte nobili e cavalieri (come preti e frati - o, se si preferisce, sacerdoti ed eremiti - rappresentavano la prima), simboleggiati concretamente dal cavallo e più in astratto dall'orso.* Tuttavia il cavallo - si dirà - è animale domestico, l'orso no. Eppure una svelta ricerca in rete potrebbe dimostrare il contrario (grazie a san Fiorenzo, san Colombano, san Gallo, san Cerbone, san Corbiniano e sant'Olcese, per limitarci alla nostra penisola), squadernando casi di orsi ammansiti ed utilizzati tra l'altro come mezzo di trasporto. Sono esempii tratti dall'agiografia, è vero. Ma è alla prima casta che spettava il compito di domare l'aggressiva irruenza dei componenti la seconda.

* Chiedersi quale sia il collegamento tra cavallo (horse, in inglese) ed orso equivale a chiedersi quale sia il collegamento tra Sagittario e Bilancia (i piatti della quale sono le due costellazioni dell'Orsa). Ora, sebbene al "doppio piatto" (bi-lanx, in latino) si usi far corrispondere la Giustizia, va anche detto "che nella Bibbia - come scrive ancora d'Ausser Berrau, stavolta in De Libra - la bilancia è citata per venti volte e per ben undici, ovvero per il 55%, lo si fa per condannarne lo scorretto uso mercantile".

La seconda casta, virtualmente femminile nei confronti della prima, è mobile per definizione, come la regina degli scacchi e come il secondo guna della cosmologia indù (quel rajas alla cui estensione sono ignoti solo lo zenit e il nadir). Immobile è invece la prima, come il papa-re degli scacchi e come il primo guna (il sattwa ascendente), vuoi per anzianità o vuoi per volontaria reclusione. Ciò premesso, non sembrava innaturale al vecchio Anchise montare sulle spalle del giovane Enea (vedi), mezzo cavallo e mezzo orso, ma in ogni caso rex ("reggItore"), con ciò simboleggiando la delega ad operare conferita dall'autorità spirituale ferma ed aurea al potere temporale dinamico ed argentato.


oOo

Visto che ci siamo irreparabilmente dati all'ippica, chiudiamo con un'ultima curiosità sull'argento. Sempre d'Ausser Berrau ricorda infatti - nel saggio sopra citato - che le mitiche cavalcature di Alessandro Magno e di Gengis Khan avevano entrambe il mantello dai riflessi metallici del "cavallo celeste" (l'akhal-teke del Türkmenistan).