Definirla «calzatura priva di tomaia nella parte posteriore» o «scarpa vecchia e logora col di dietro acciaccato», è lo stesso. In ambo i casi, la ciabatta evoca riposo, abbandono, vacanza - come s'è detto altrove, a proposito del latino vacare - e festività (donde l'etimo semitico, vuoi dall'ebraico shabbath, cioè "sabato", vuoi dal turco çabata e dal persiano sabat).
Sciavatt' per gli Asburgo o ciavatta per i Borboni,* la ciabatta è comunque piana - donde il sinonimo «pianella» - e si differenzia in ciò dall'impellicciata pantofola, che non livella rasoterra il piede del ricco ed il piede del povero.


* In merito c'è pure chi ha proposta un etimo sabaudo (savoia - sciavoggia). Ma l'estro dei linguisti s'è spinto fino a trovare nella pantofola - pan teufel - la coda del diavolo.

Altre accezioni, comunque casalinghe, del termine «ciabatta» si trovano nella tradizionale baguette (o chabaguette) francese, nella presa elettrica multipla, nell'ardita dichiarazione amorosa dell'immancabile G.G. Belli ("doverèssimo èsse' | tutta ciavatta tu, io tutto pede"), nella locuzione «allungà' 'a ciavatta» per significare un infantile "mettere il broncio" ed infine nel proverbiale «come ogni bella scarpa si fa ciabatta, così ogni bella donna diventa nonna». A questo riguardo si può far presente che, in tempi caratterizzati da un'obsolescenza frenetica, l'umile ciabatta, ancorché malridotta, costituisce un bell'esempio di utile longevità. Utile, perché umile.