C'è il poeta e c'è la poetessa. C'è l'artista, ma non c'è l'artistessa.
A proposito di questa carenza lessicale, e perciò della scarsità numerica di artisti di genere femminile, qualcuno dice, non senza malizia, che le donne dovrebbero entrare in un museo solo nude. Gli si potrebbe rispondere, con pari malizia (vedi), che un'opera d'arte mica la si espone imballata (sottintendendo che, se il maschio è l'artista, il capolavoro è la femmina). In questo senso la «donna-oggetto» è un oggetto d'arte.*
Non ogni maschio è artista, certo, sebbene si possa affermare - almeno metaforicamente - che ogni artista sia maschio. Così non ogni femmina è un capolavoro, sebbene ogni opera d'arte sia simbolicamente femminile [nei confronti del suo creatore]. Inoltre, se quest'ultimo ha l'iniziale maiuscola, lo stesso artista, in quanto creatura, è a sua volta un oggetto. La cosiddetta «creazione artistica», insomma, nonostante ciò che diremo tra poco circa l'homo faber, sembra un abuso linguistico.

* Non solo, perché le attenzioni che ella rivolge al suo corpo fanno di quest'ultimo un oggetto a se stessa, artista a sua volta.

Si può addirittura sostenere che ogni produzione non sia che mera ri-produzione (l'Artista essendo uno solo) e che noi ci si possa limitare al maquillage di un quid preesistente, la Natura, id est il capolavoro, essendo una sola. In merito andrebbe notata a) l'equivalenza tra dipinto e fotografia, fino ad ieri solo teorica ed oggi - grazie al computer - anche pratica e b) l'ambivalenza dei vocaboli in questione, quasi che all'uomo, sia maschio che femmina, competa solo la procreazione, invece della creazione.
Infine, procreazione o riproduzione che si voglia, si può obiettare che la meccanicità dell'atto generativo mal si presti al paragone con la creazione artistica. Far figli non è fare fotocopie, in altre parole. Ciò nondimeno la cura della prole, intesa sia come allevamento che come educazione [delle creature], è un'arte. Ed è un'arte tradizionalmente riservata alla femmina, stavolta innegabilmente creatrice, oltre che procreatrice.

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La classica trilogia "amante-amato/a-amore" (ovvero soggetto, oggetto ed il loro rapporto) presenta non pochi punti in comune con quanto sopra. Nella fattispecie, in termini neutri, se l'artista è l'amante, l'opera d'arte è indubbiamente la sua amata creatura (il che, tra parentesi, conferma quanto dicevamo altrove sull'amore come proiezione). Arte come amore, sicché. E creazione come arte.
Il discorso si complica all'apparizione di un nuovo elemento, cioè lo spettatore. Elemento necessario, per quanto non indispensabile, se è vero che si fa qualcosa di bello anche per farla vedere [a qualcuno diverso da chi l'ha fatta]. In quale veste ed in quale misura si pone costui, nei confronti dell'oggetto d'arte? Soggetto fruitore - ma pur sempre soggetto, come l'artista - o oggetto da fruire? Delle cui lodi o del cui mecenatismo usufruire, cioè, in modo che il fine della crezione artistica sia lo spettatore, invece del prodotto della creazione stessa? Chissà. Vero è che ogni forma d'artigianato è arte, pertanto, come un buon cuoco non cucina per sé, un buon pittore dipinge per uno spettatore.* D'altra parte un vero artista (pittore, fotografo, scultore, musicista, poeta, ecc.), a differenza di un cuoco, non dipende dagli umori del pubblico [pagante].

* In questa prospettiva la stessa Creazione è stata creata perché l'uomo la ammiri e ne renda lode al Creatore.

Ars gratia artis significa appunto questo, l'art pour l'art [et pas pour l'argent], ovvero dipendere dal volere delle muse e non dal benvolere dei passanti. Ed è affermazione squisitamente religiosa, come prova la dedica Ad Majorem Dei Gloriam che l'onesto artiere apponeva ad ogni suo manufatto (artefatto artificiale, ma non artificioso).

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Per finire, tre appunti.
  • L'appropriazione umana del termine creare, che dovrebbe essere di esclusiva pertinenza divina, non è del tutto indebita. Bene o male, l'uomo è il vicario (khalifa, in arabo) di Dio. Del resto, creare significa null'altro che "fare" (se dal nulla o meno, soprassediamo): proviene infatti dalla radice sanscrita KAR (che, se la scrivi CAR, capisci perché la nostra massima creazione sia l'automobile) o KR, biconsonantico presente - con questo significato - in tutto il corpus di lingue di derivazione indoeuropea. Al riguardo, oltre a ciò che s'è scritto qui, basta pensare a Cerere ("colei che produce", "che fa crescere") o a Cronos (perché ci vuole "tempo" per produrre e per far crescere).
  • Comunemente si crede che le guerre si muovano per brama di denaro, ovvero per cupidigia di qualcosa il cui possesso si traduce in denaro. E se il movente fosse, anziché l'amore dell'utile, l'amore del bello [altrui]? Quante opere d'arte sono state trafugate, nel corso dei secoli passati? Quanti musei, biblioteche, chiese, monasteri e collezioni private si sono saccheggiati? Quante nazioni sono state costrette alla fame per obbligarle a vendere il loro patrimonio artistico?
  • Uno dei tanti modi per valutare la bassura della fogna in cui siamo scivolati noi occidentali (giapponesi non esclusi, purtroppo) è quello artistico. Paragonare la produzione pittorica, ad esempio, ad onta di qualche lodevole e coraggiosa eccezione, dei paesi [sul viale] del tramonto, cioè dell'occidente, con quella degli artisti, ancora ad esempio, russi, cinesi od iraniani, è abbastanza deprimente. Al riguardo, poche «creazioni» sono emblematiche quanto il celebre orinatoio, già vecchio di un secolo, di Duchamp (capolavoro che solo la firma autografa differenzia dalle imitazioni presenti in ogni cesso pubblico e privato).