Io russai, tu russasti, egli rousseau.

A parità di forze, nessuno si dedica sistematicamente alla violenza (non foss'altro che per timore dell'immancabile vendetta). L'essere umano, come ogni animale, aggredisce solo per necessità e, in tal caso, solo quanto basta. Se questo è vero, il mitico «contratto sociale» col quale - come davanti al notajo - si rinuncia a un po' di libertà individuale in cambio di maggior sicurezza collettiva, non esiste.
Certe cose non si fanno a mente fredda. ma a cuore caldo.
Appare più plausibile (e più naturale) l'aggregarsi spontaneamente ad un capo, un padre (meno spesso una madre), un re o una regina visti - almeno in parte - in un'aura di sacralità: ad una figura simile, carismatico surrogato divino, è più facile obbedire.
In quest'ottica la struttura statale (militare, amministrativa e giudiziaria, cioè la tradizionale seconda casta), traeva la propria legittimazione dall'alto. Il che è l'unico modo di operare secondo giustizia. 

Ciò premesso, quando non c'è parità di forze, ovvero quando la potenza bellica del superiore è incomparabilmente maggiore di quella dell'inferiore (che fino ad ieri poteva contrastare la spada - e magari anche il fucile - col forcone) e quando non c'è legittimazione, ovvero [un minimo di] sacralità, il potente abuserà sistematicamente del debole.* Sistematicamente e senza alcun ritegno, né umano, né animale. Senza pietà, perché, se non sei pius, non puoi aver pietas.

* Potente non è solo il cosiddetto «pezzo grosso», ma ogni componente - stante l'imparità di forze rispetto al singolo utente - l'elefantiaca burocrazia statale. Quando a questo Leviatano viene reciso ogni vincolo celeste, ovvero quando il "pubblico" è dichiaratamente laico, allora sì, meglio il "privato".

Tuttavia la colpa non è solo di chi ha sparso i semi dell'ateismo (homo homini lupus, nihil in intellectu quod prius non fuerit in sensuuniversalia come flatus vocis, ecc.), ma anche di chi ha coltivato la malerba dell'insubordinazione. Vero è che non abbiamo più la stoffa degli antichi, né noi, né i nostri capi, eppure ...


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Se la cinematografia è - come si pretende - un'espressione artistica aderente ai tempi, perché i film ispirati anche solo in parte alla religione sono quasi inesistenti? Statistiche alla mano, le chiese non sono [ancora] del tutto vuote. Più che un'arte dedita a ritrarre la realtà, l'illuministica invenzione dei fratelli Lumière (nomen omen) sembra una scienza mirata a cambiare la realtà: pedagogia, per l'esattezza.

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S'ama pensare che il buon selvaggio, vivendo in quella res publica ante litteram che è lo stato di natura,* non forzi quest'ultima secondo i di lui desiderata. Ma come la mettiamo con l'anello nel naso, i cerchi al collo, il labbro inferiore dilatato fino all'inverosimile, i lobi auricolari allungati (o anche solo forati), l'amputazione di una mammella, la deformazione dei piedi, l'infibulazione, la circoncisione, la castrazione e così via?
Vien da sospettare che sottoporsi ad un intervento chirurgico, magari per cambiar sesso, non sia poi tanto innaturale. A meno che non si ammetta che ad esser innaturale è proprio l'uomo.**


* Stato felice, ma non anarchico. Se i termini «monarchico» e «teocratico» coincidessero, lo si potrebbe definire in uno di questi due modi.

** La questione, esorbitando dal presente argomento, andrebbe trattata altrove. Però va subito precisato che c'è qualche differenza tra il forzare la natura per scopi mondani oppure oltremondani (scopi d'altronde razionali ambedue).




Riepilogando, si direbbe davvero che Ragione e Natura - intese come razionalità e naturalezza - facciano a pugni. Ciò nonostante, anche la ragione è un dono del buon Dio. Tutt'è usarla bene, perché el sueño de la razón può intendersi sia come atrofìa ("sonno") che come ipertrofìa ("sogno") della ragione stessa: in entrambi i casi, si rischia di russare.