L'imperativo moderno obbliga al culto del Nuovo (e del giovane). Noi, un po' per innata rispettosità delle regole e un po' per paura [dell'inevitabile punizione], ci atteniamo a questo dettato professando il culto del Nuovo Testamento.

Ci si potrebbe far presente che duemila anni d'età non sono sinonimi di gioventù. È vero. Tuttavia, se ci si consente una domanda indiscreta, vorremmo sapere se chi formula questa obiezione è, per esempio, marxista o freudiana/o. Se lo è, dovrebbe dirsi che cento o duecento anni, per chi si ritiene moderna/o, non sono pochi.
Niente niente il culto della gioventù è promosso da chi interiormente si tiene ben stretto il proprio passato ed esteriormente incoraggia il disprezzo del passato altrui?


oOo

Questa ossessione moderna della novità a tutti i costi, infantile e provinciale solo all'apparenza, è in realtà telediretta da un urbanissimo vegliardo. Metropolitano, anzi, più che urbano,* di quella metropoli che Dante attribuisce a Dite, il dives, il plutocrate.

* Fino ad ieri il villano - rustico com'era - lo si trovava in villa, cioè in rure, mentre l'urbanità competeva al cittadino. Oggi invece nessuno si stupisce più, nel notare quanto vi sia di zotico, trappano, incolto, ruspante, pacchiano, cerretano, becero, georgico, pagano, a scelta, nella ville lumière globale. Al riguardo un altro esempio di rovesciamento semantico - chissà se dovuto allo sfascio dei tempi o alla deriva linguistica - è l'aggettivo «pagano», che sta letteralmente per "campagnolo" e metaforicamente per "idolatra", laddove oggi il cristianesimo sembra appannaggio più della campagna che della città,
ovvero più della provincia che della capitale. E così anche l'aggettivo «provinciale», poc'anzi usato in senso denigratorio, perde tali caratteristiche. Su questo «salto della quaglia» s'è aggiunta qualcosa qui.

Comunque sia, la follia dell'adorazione del nuovo accomuna il vecchio ed il giovane in una sola demenza: in effetti, nuovo è solo ciò che non è stato collaudato a dovere. Basta pensare all'amianto, per rendersi conto di come ci si possa infatuare, a caro prezzo, del nuovo.