Per quanto la voluttà classificatoria sia insopprimibile, in noi umani, bisogna rassegnarsi. Uno dei piaceri del buon Dio essendo quello di mischiare le carte [del bianco e del nero, del bene e del male, dell'alto e del basso, ecc.], catalogare qualcosa è impossibile, oltre che quasi inutile. Quasi, ma non completamente, perchè dividere - ad esempio - le arti a) tra visive ed acustiche, b) tra susseguentesi nello spazio (cioè la cui fruizione esige la stasi dell'opera ed il moto dello spettatore, come in un museo) o nel tempo (cioè la cui fruizione esige la stasi dello spettatore ed il moto dell'opera, come in una sala cinematografica), c) tra quelle la cui opera è prodotta una volta per tutte (scultura, fotografia, pittura, letteratura, ecc.) o va riprodotta ogni volta (danza, canto, teatro, ecc.) può servire a veder le cose da un altro punto di vista.
Punto di vista pur sempre parziale, però, dandosi il caso di arti - per tornare alla prima suddivisione - sia visive che acustiche. Un concerto rock, per esempio, non è etichettabile che come audiovisivo.


Del resto il bello dei cinque colori, come dei cinque sensi, è nel mescolarli. Così il mio colore favorito, il verde, nasce dall'unione del giallo e del blu. Così l'udito e la vista collaborano, nel godimento di arti quali il cinema ed il teatro. E così, tornando alle suddivisioni precedenti, l'opera d'arte creata una tantum (Le quattro stagioni, I concerti brandeburghesi, Le nove sinfonie, ecc.) necessita di una esecuzione sempre nuova e l'immoblità dello spettatore, opposta alla mobilità dell'attore (come nel caso della danza), può risolversi nell'immobilità della poltrona e dello schermo dove il primo, su quella, esercita la mobilità degli occhi e, il secondo, su questo, degli arti.* 
Un'ulteriore, interessante ripartizione prevede arti esercitabili grazie al solo uso del proprio corpo ed arti la cui attuazione richiede una - per così dire - appendice o protesi di quest'ultimo (flauto, pennello, computer e così via). Interessante, dicevamo, sia perché non permette sconfinamenti tra un tipo d'arte e l'altro, sia perché sembra che il gentil sesso primeggi soprattutto in arti quali la danza, la poesia,** la ginnastica, il canto, insomma in tutte quelle arti che non abbisognano di strumenti meccanici. Col che torniamo a dire quanto accennammo qui, cioè che un ben fatto corpo femminile (che sia di Venere - dea, pianeta e terzo cielo - o delle muse) è già in sé un'opera d'arte.***

* Curiosa omofonia, quella tra le arti e gli arti, quasi che senza questi non si diano quelle.

** Poesia e scrittura non vanno necessariamente di pari passo, almeno per chi crede che la trasmissione orale duri più a lungo di quella scritta (se non altro perché si trasmette solo ciò che val la pena trasmettere).

*** Circa le muse, offese dall'iniziale minuscola, forse mette conto precisare che, finché si tratta di due persone (come i Dioscuri) o di tre (come le Grazie), la maiuscola ci vuole. Poi, basta (sette nani, nove muse, dodici dei, ecc.).

Ancora sulla voluttà classificatoria e sulla relativa difficoltà di incasellamento delle arti, dovremmo chiederci sotto quale voce catalogare creazioni come - ad esempio - il ricamo, l'arazzo, l'oreficeria, la grafica digitale e la spazzatura della sabbia davanti ad un tempio zen. 
E la spada del samurai non interpreta forse la stessa arte del volo dell'aquila, del balzo della tigre e del volteggiare della foglia

Per finire, se è vero che anche l'attività più umile, se fatta a regola d'arte, è arte, illanguidisce perfino la distinzione tra l'art pour l'art e l'art pour l'argent. Basti pensare a quanti ritratti (come quello - vedi - della signora Panciatichi, davanti al quale si prostra chi scrive) sono stati dipinti su commissione. E pure in assenza di pagamenti in denaro è difficile parlare di arte fine a se stessa, visto che un tributo d'ammirazione può appagare altrettanto.


Una delle differenze tra il maschio e la femmina della nostra specie, lumeggiata poc'anzi parlando di interpretazioni artistiche alla cui messa in opera è sufficiente il corpo [dell'artista], senza altri accessorii, è l'atteggiamento verso il medesimo.
Si direbbe che solo le donne abbiano la consapevolezza di albergare in (o di albergare tout court, secondo il rispettivo punto di vista) un tempio mobile. Che poi tale consapevolezza si traduca in umiltà ed in lode «per grazia ricevuta» o in orgogliosa vanità è un altro discorso. 
Comunque sia, l'inquilino, il gestore od il proprietario (di nuovo secondo il rispettivo, più o meno miope, punto di vista) di questo tempio è sempre al femminile, eccezion fatta per l'infausta evenienza a cui si allude nel dir che «solo le donne brutte suonano bene il pianoforte».